Gli ambientalisti la aborrono, l'industria non può farne a meno. Intanto continua a essere dispersa, mettendo in serio pericolo l'intero ecosistema, soprattutto il mare. Come risolviamo il problema della plastica?
Il prezzo basso delle plastiche vergini e la loro eccezionale qualità rende impossibile raccoglierla economicamente per riciclarla. Limitarne l'uso è altrettanto impossibile. Servono investimenti in organizzazione e cultura, ma gli oceani possono aspettare?
Crescono le preoccupazioni attorno alla plastica, soprattutto negli oceani. Per gli ambientalisti è
la rappresentazione della nostra società dell'eccesso, dei rifiuti.
Per contro, l'industria pare proprio non riuscire a fare a meno di questo
prodotto così abbondante, economico e versatile. Per esempio, l'imballaggio in plastica protegge il cibo più a lungo, riducendo il deterioramento. La società di consulenza ambientale Trucost ha pubblicato
un documento che supporta queste argomentazioni, sostenendo che le plastiche sono un materiale spesso preferibile rispetto alle alternative destinate a svolgere la stessa funzione.
Prendiamo i sacchetti di plastica per la spesa (vedi
Il punto sui sacchetti di plastica), sono impermeabili, resistenti e leggeri, in grado di sopportare più di mille volte il loro peso. Sono stati banditi senza valutare che le loro alternative, in mancanza di un radicale cambiamento di abitudini, sono spesso ben peggiori.
E allora, perché il mondo sembra non reggere l'impatto delle materie plastiche? Forse il problema è proprio
la straordinaria efficienza di questo composto, soprattutto per quanto riguarda la sua economicità e la sua resistenza. Per questo motivo, ancora oggi e nel recente passato, è decisamente sovrautilizzato, mettendo a dura prova le capacità del pianeta di sostenere il peso della sua presenza pervasiva.
La capacità di riciclo della filiera industriale post-consumo non riesce a raccogliere che una misera quantità del materiale, perché la maggior parte delle plastiche
non hanno un valore sufficiente per essere economicamente recuperate.
Molti sostengono che non sia la plastica il vero problema, ma
le persone, la politica e i sistemi di gestione dei rifiuti. Allora la soluzione andrebbe cercata nell'incentivare il riciclaggio a livello municipale, l'uso responsabile plastica a livello comportamentale, attraverso l'istruzione, moltiplicando gli incentivi e gli investimenti nell'infrastruttura di recupero.
Questi rimedi sono però già in essere da anni, non sappiamo con quanta convinzione di tutte le parti in gioco, ma sicuramente ne conosciamo i risultati:
quasi ovunque nulli o quasi.
L'economia dei rifiuti non è separata dal capitalismo. Nella maggior parte degli Stati Uniti la gestione dei rifiuti è finanziata da imposte e gestita dai comuni. In paesi con programmi di responsabilità estesa ai produttori, tuttavia, l'industria e lo stato finanziano la gestione dei rifiuti e le aziende private competono per la gestione dei rifiuti. I tassi di riciclaggio in USA e Regno Unito sono ridicoli, mentre paesi come la Germania ostentano orgogliosi il loro successo (vedi
Germania: leggi sul riutilizzo delle bottiglie). L'economia e la politica dettano dunque il successo della gestione dei rifiuti.
Servono incentivi pubblici e una severa organizzazione della raccolta, dunque. Ma non è detto che basti: vi sono una miriade di altri fattori tecnici e comportamentali che possono
interrompere ovunque la filiera. Citiamo solo per esempio la qualità della plastica raccolta (in termini di presenza di contaminanti), la sua quantità, che talvolta è troppo bassa per giustificare economicamente la raccolta e il processo di riciclaggio, e la domanda del prodotto riciclato, che deve essere alta, sostenibile e costante. Certamente non aiuta l'attuale prezzo del petrolio, che abbassa drasticamente il costo delle plastiche vergini.
Il mercato del riciclo è in un costante stato di caos, per una serie di fattori che continuano a cambiare. È innegabile che i paesi con sistemi di deposito con cauzione sono i più efficaci nel recuperare i rifiuti, ma ciò è molto aiutato dagli atteggiamenti dei consumatori e dai budget governativi. Il mondo si divide dunque in due parti abbastanza nette: chi gestisce la plastica e chi non lo fa. Secondo
Nicholas Mallos, direttore del Trash Free Sea Program,
la metà dei detriti oceanici deriva da soli quattro paesi: Cina, Indonesia, Filippine e Vietnam. Paesi con PIL nemmeno troppo elevati (con esclusione della Cina), ma che hanno in comune il fatto che non dispongono di infrastrutture adeguate per la gestione dei rifiuti. Dubitiamo che questi paesi abbiano cultura dei cittadini e fondi sufficienti per attuare efficaci sistemi di deposito con cauzione.
Quella contro la dispersione della plastica è una guerra lunga e difficile. Auguriamoci di poterla vincere prima che il pianeta ci presenti il conto.