Scienziati, inventori e organizzazioni ambientaliste stanno sviluppando nuove soluzioni per ridurre l'impatto negativo delle maledette mascherine sull'ambiente.
Con le ultime notizie sul Covid-19, l'uso mondiale di maschere facciali o dispositivi di protezione individuale (DPI) sembra destinato a continuare ad aumentare. Ma tenere al sicuro noi umani dalla pandemia non dovrebbe essere fatto a spese del pianeta. Le associazioni ambientaliste stanno sviluppando nuove soluzioni per ridurre l'impatto negativo sull'ambiente.
"Gli scienziati hanno stimato che a livello mondiale stiamo usando 129 miliardi di maschere per il viso e 65 miliardi di guanti ogni mese," sostiene Edith Cecchini, di Ocean Conservancy Trash Free Seas. "Abbiamo già rapporti su animali marini, inclusi uccelli, che ingeriscono questi oggetti o restano impigliati in essi. La pandemia ha portato a un'esplosione di plastica monouso: ha rivelato quanto abbiamo disperatamente bisogno di trovare modi migliori per gestire i nostri rifiuti."
Sono numeri impressionanti: anche se fossero gestiti correttamente, questi dispositivi, una volta usati, finirebbero in discarica. In realtà, gran parte di essi è semplicemente disseminata per le strade. Una maschera dispersa in natura impiegherà quasi 500 anni a decomporsi. Nei mari è uno dei peggiori inquinanti. E l'incenerimento non è molto migliore, perché il livello di emissioni di CO2 generate è colossale. Per questo è necessario provare a riutilizzare, riciclare e indossare maschere realizzate con materiali biodegradabili.
La società di smaltimento dei rifiuti TerraCycle, nel Regno Unito, ha messo giù gli Zero Waste Boxes per raccogliere e riciclare DPI, maschere per il viso e guanti monouso. Una volta finiti nei box di Terracycle, gli articoli vengono cerniti in categorie in base alle caratteristiche e alla composizione del materiale e, se necessario, miscelati con altre plastiche. Il materiale viene quindi fuso in pellet riciclato per essere utilizzato da terzi per la fabbricazione di nuovi prodotti tra cui mobili da esterno, terrazze e contenitori.
La start-up francese Plaxtil offre una soluzione per le mascherine chirurgiche, in tessuto e FFP2 e sta attualmente conducendo un progetto pilota a Châtellerault, in Francia. Hanno istituito 50 punti di raccolta in farmacie, negozi o centri commerciali. Dopo aver rimosso la barra di metallo, le mascherine sono frantumate e poi fatte passare attraverso un tunnel UV per essere sterilizzate. I frammenti sono trasformati in materiale da iniettare in una pressa ad iniezione per ottenere oggetti di protezione contro il Covid-19: chiusure per maschere, apriporta, visiere protettive, etc.
Una soluzione potrebbe essere utilizzare le mascherine biodegradabili, con rivestimenti per il viso in cotone, lino, bambù, seta e canapa. Sono allo studio anche altri materiali più creativi, con proprietà aggiuntive. La Queensland University of Technology (QUT) australiana, ha sviluppato un prodotto ottenuto da materiale vegetale di scarto, come la bagassa di canna da zucchero e altri rifiuti agricoli. Il materiale nanocellulosico altamente traspirante trattiene le particelle più piccole di 100 nanometri, le dimensioni dei virus.
All'EssentialTech Center dell'Istituto Federale Svizzero di Tecnologia di Losanna (EPFL), Svizzera, i ricercatori hanno messo a punto un nuovo materiale. HelloMask è il suo nome commerciale, ed è costituita da una composizione polimerica, derivata al 99% da biomasse organiche. È trasparente e traspirante, oltre che biodegradabile e riciclabile. È progettato per rivelare le espressioni facciali e per filtrare virus e batteri. Sarà registrato come mascherina chirurgica (dispositivo medico di Classe I) e quindi fornirà la stessa protezione.