Un nuovo studio smentisce parzialmente la riduzione dell'inquinamento atmosferico causata dai confinamenti in relazione alla pandemia. I molti studi svolti in precedenza hanno sovrastimato la riduzione degli inquinanti direttamente imputabile alle misure sanitarie.
La prima ondata di confinamenti per Covid-19 ha avuto un impatto minore sulla qualità dell'aria urbana di quanto si pensasse in precedenza, secondo uno studio pubblicato sulla rivista Science Advances.
La pandemia ha indotto i governi di tutto il mondo a introdurre confinamenti all'inizio del 2020, chiudendo temporaneamente i luoghi di lavoro e svuotando strade e spazi pubblici. Con il rallentamento dell'attività economica, le emissioni di inquinanti atmosferici sembravano crollate. Quasi un anno dopo, l'effetto che tutto questo ha avuto sull'aria che respiriamo si sta facendo chiaro.
Il metodo adottato per determinare gli effetti del blocco sulla qualità dell'aria è stato confrontare le misurazioni prima e dopo la data di inizio del blocco. Molti studi, utilizzando questo approccio, hanno riportato grandi riduzioni di alcuni inquinanti, come il biossido di azoto (NO₂). Uno studio, per esempio, ha affermato che le emissioni di NO₂ sono diminuite fino al 90% a Wuhan, la città cinese in cui si ritiene sia emerso il COVID-19, al culmine dell'epidemia (vedi Il lockdown riduce le emissioni).
Ma questo confronto è troppo semplice per essere esente da errori. Per analizzare i dati sull'inquinamento atmosferico, i ricercatori dell'Università di Birmingham hanno utilizzato l'apprendimento automatico, una sorta di intelligenza artificiale. In questo modo, sono riusciti a eliminare gli impatti meteorologici e le tendenze stagionali dai dati sulla qualità dell'aria, quindi hanno rielaborato le concentrazioni orarie di inquinamento specifiche di molti territori da dicembre 2015 a maggio 2020.
I ricercatori si sono concentrati sui cambiamenti nell'inquinamento da NO₂, ozono e particolato (PM2,5) in 11 città: Pechino, Wuhan, Roma, Madrid, Londra, Parigi, Berlino, New York, Los Angeles e Delhi. Hanno scoperto che dopo aver corretto gli impatti del meteo e delle tendenze stagionali, le riduzioni di ossido di azoto (NO₂) dovute al blocco erano inferiori alle aspettative. La ricerca ha anche rivelato che le concentrazioni di PM2,5 non erano diminuite in tutte le città: facevano eccezione Londra e Parigi.
Il meteo influisce anche sui livelli di inquinamento, per esempio disperdendo le emissioni dalle città. Viene bruciata per il riscaldamento una quantità maggiore di combustibili fossili, durante l'inverno rispetto alla primavera, e gli inquinanti formatisi tendono a reagire in modo diverso nell'atmosfera in diverse condizioni di luce solare e temperatura, facendo variare i livelli di inquinamento atmosferico tra le stagioni. Questi fattori alterano l'influenza di un singolo evento sulle concentrazioni di inquinanti atmosferici.
L'autore principale dello studio, Zongbo Shi, professore di bio-geochimica atmosferica presso l'Università di Birmingham, ha dichiarato: "La riduzione rapida e senza precedenti dell'attività economica fornisce un'opportunità unica per studiare l'impatto dei possibili interventi sulla qualità dell'aria. Le modifiche alle emissioni associate alle restrizioni hanno portato a bruschi cambiamenti nei livelli di inquinanti atmosferici, ma il loro impatto sulla qualità dell'aria è stato più complesso di quanto pensassimo. E comunque inferiore a quanto precedentemente calcolato."
I cambiamenti meteorologici possono mascherare i cambiamenti nelle emissioni sulla qualità dell'aria. Lo studio ha fornito un nuovo quadro per valutare gli interventi sull'inquinamento atmosferico, separando gli effetti del meteo e della stagione dagli effetti delle variazioni delle emissioni.
William Bloss, coautore dello studio, commenta: "Abbiamo riscontrato aumenti dei livelli di ozono dovuti al blocco in tutte le città studiate. Questo è ciò che ci aspettiamo dalla chimica dell'aria. Questo contrasterà almeno in parte i benefici per la salute derivanti dalle riduzioni di NO₂."
Le variazioni del particolato (PM2.5) variano da città a città. Le future misure di mitigazione richiedono un approccio sistematico per il controllo dell'inquinamento atmosferico nei confronti di NO₂, O₃ e PM2,5 personalizzato per ciascuna città, per massimizzare i benefici complessivi dei cambiamenti della qualità dell'aria per la salute umana.
I confinamenti, o lockdown, sono stati un esperimento globale involontario che ha prodotto aria più pulita per molti milioni di persone. Le riduzioni di NO₂ da sole avrebbero portato ampi benefici per la salute e, se fossero continuate, avrebbero consentito alla maggior parte delle città di soddisfare le linee guida sulla qualità dell'aria stabilite dall'Organizzazione mondiale della sanità. Ma questo sarebbe stato compensato dall'aumento dell'ozono e molti dei cambiamenti sono minori di quanto pensassimo inizialmente, evidenziando quanto sia grande la sfida di ripulire la nostra aria.
In un certo senso, i confinamenti ci hanno permesso di vedere nel futuro. I cambiamenti di NO₂ nelle città durante il blocco riflettono ciò che è previsto tra il 2027 e il 2030, poiché le emissioni dei veicoli a combustibili fossili vengono gradualmente eliminate dalle alternative elettriche in molte delle città esaminate.
Mentre l'anidride carbonica (CO₂) si miscela nell'atmosfera su scala globale e può resistere per diverse centinaia di anni, gli inquinanti come l'NO₂ durano circa un giorno nell'aria e rimangono vicini alla loro fonte. La lezione da trarre dal COVID è che azioni aggressive per eliminare le fonti di CO₂, ovvero iniziative internazionali a fini di contrasto al riscaldamento globale, porteranno anche benefici immediati per la qualità dell'aria e la salute nelle città.