Gli strumenti usa-e-getta in ambito sanitario sono una grandissima fonte di inquinamento da plastica, favorito (in Italia) anche da assurde leggi che impongono lo smaltimento, impedendo riuso e riciclo. Un'abitudine che ha pochi anni, ma che è in continuo peggioramento. Il COVID ha ingigantito il problema.
Osservando la quantità di plastica utilizzata quotidianamente negli ospedali e centri di cura, ci si chiede come la plastica monouso possa essere coerente con il primo principio del giuramento di Ippocrate, che impegna i medici a "non nuocere".
È chiaro che questi materiali provengono da qualche parte e da qualche parte devono andare, causando chissà quanti danni. Ma non tutti i medici e pazienti la vedono in questo modo, perché la plastica è diventata una caratteristica intrinseca della cura del paziente. Dà sicurezza, un senso di professionalità, di asetticità. Aprire un presidio medico nuovo, usa-e-getta, incellofanato, deve dare all'operatore e al paziente una fiducia che il prodotto lavato e sterilizzato, evidentemente, non ha. Sa di vecchio, di stantio.
La tentazione della plastica monouso è irresistibile. Questa tentazione è stata amplificata dalla praticità della plastica, dal costo basso e dall'efficacia in determinate situazioni. La plastica rigida ha rivoluzionato prodotti come la siringa ipodermica, storicamente realizzata in vetro, rendendola più economica da produrre su larga scala.
Anche la cannuccia di plastica (oggi fonte di costernazione, vedi Taiwan: guerra alle cannucce) ha radici nella medicina. Fu inventata nel 1937. La sua prima vendita è stata a un ospedale, per i pazienti con mobilità ridotta. Ma ora l'enorme volume di rifiuti sanitari sta iniziando a esagerare. Molte strutture mediche stanno facendo partire sperimentazioni di riciclo, ma le leggi (spesso assurde, in campo ambientale) sono un serio ostacolo a questo tipo di iniziative, soprattutto in Italia.
L'etichetta usa-e-getta monouso non è stata imposta per legge: è stata inventata dai produttori. Solo perché qualcosa è etichettato come usa-e-getta monouso non significa che non possa essere riutilizzato. Le leggi, anzi, più precisamente, le linee-guida e le raccomandazioni delle varie autorità, si sono semplicemente adeguate a quanto disponibile sul mercato.
Secondo alcune stime, il 25% dei rifiuti ospedalieri dei paesi OCSE è costituito da plastica. Si parla di milioni di tonnellate all'anno. Non è sempre stato così: l'importanza della plastica negli ospedali risale a meno di 100 anni fa. Ma durante il boom della plastica del dopoguerra degli anni '40, i professionisti del settore medico sono diventati plastica-dipendenti.
E la pandemia ha messo la parola fine a ogni comportamento virtuoso, aumentando la paranoia di operatori e pazienti, a aggiungendo interruzioni di forniture, chiusure di fabbriche e ritardi di spedizione. Il mercato del riciclo di alcune materie plastiche nell'assistenza sanitaria è molto problematico in questo momento.
La soluzione potrebbe essere nei fornitori locali, che avrebbero meno difficoltà a occuparsi di riutilizzo e riciclaggio. Sarebbe un progetto davvero connesso alla resilienza della comunità. Ovvero: chiudere il ciclo prodotto-rifiuto-riutilizzo all'interno delle comunità locali, renderebbe il settore sanitario più resistente a crisi, come quella pandemica, oltre a ridurre considerevolmente gli insopportabili sprechi, oggi creati ad arte dall'industria e favoriti dalle leggi compiacenti.
Ma fare in modo che medici e pazienti si sentano a proprio agio con la plastica riutilizzata, che è stata esposta a un mondo di agenti patogeni, nel mezzo di una pandemia globale, può essere difficile. Comporta il superamento di credenze culturali vecchie di decenni sulla natura sanitaria della plastica monouso.
Alcuni dispositivi, come piccoli tubi e cateteri, sarebbero pericolosi da riutilizzare, ma molti altri articoli no. L'Organizzazione Mondiale della Sanità riferisce che l'85% dei rifiuti sanitari non è contagioso. E le prove dimostrano che molti elementi potrebbero vedere una seconda vita attraverso la rigenerazione del dispositivo monouso. La disinfezione, la pulizia e la rigenerazione sarebbero sufficienti per molti componenti, oggi gettate senza pietà, come sensori del pulsossimetro o lacci emostatici. In altri casi, la soluzione potrebbe essere quella di tornare a contenitori rigidi e riutilizzabili di plastica e vetro, piuttosto che ai fragili usa e getta che li hanno sostituiti.
Anche sul fronte degli imballaggi, la situazione è degenerata. L'involucro contribuisce notevolmente ai rifiuti di plastica nelle sale operatorie. La plastica, spesso in polipropilene azzurro, viene utilizzata per avvolgere in modo sterile l'attrezzatura chirurgica. È intuitivo che questo involucro potrebbe essere facilmente sostituito con custodie rigide riutilizzabili che non devono essere gettate dopo un solo utilizzo. Invece, la quantità di questo tipo di scarti è sorprendente: uno studio canadese ha scoperto che solo un tipo di intervento chirurgico, l'artroplastica del ginocchio, ha generato più di 75 tonnellate di soli involucri azzurri dal 2008 al 2009 in Canada.
I contenitori per oggetti taglienti ospedalieri sono un'altra semplice opportunità per il riutilizzo. Invece di gettare l'intero contenitore, come si fa adesso, potrebbero essere usati contenitori riutilizzabili per la consegna all'impianto di lavorazione, per poi essere svuotati e disinfettati.