Oltre ai dispositivi di Cattura & Stoccaggio di carbonio (CCS), l'umanità conta anche sulla piantumazione di alberi, per compensare le emissioni dei settori (come l'aeronautica) che non possono non generare CO₂. In realtà, l'apporto delle foreste per neutralizzare i gas serra è piuttosto limitato.
La contabilità climatica è un arzigogolato meccanismo logico su cui si basa gran parte degli obiettivi di 'zero carbonio netto'. I governanti del pianeta, Jo Biden in testa, con le loro pompose dichiarazioni, hanno dichiarato guerra al riscaldamento globale, ma non possono prescindere dalla contabilità ecologica per sostenerla. Essa consente, in pratica, ai grandi inquinatori del pianeta di lavare la propria attività acquistando quote di operazioni di CCS (vedi Geo palliativi: la bioenergia non salverà il mondo) o di piantumazione alberi, ma questa pulizia è tutta da dimostrare, e ha le gambe molto corte.
Bonnie Waring, del Grantham Institute - Climate Change and Environment, presso l'Imperial College di Londra, è molto tranchant sull'argomento. Le sue parole non devono suonare come una condanna di questi impegni, presi in occasione della giornata mondiale della Terra, ma piuttosto come un'esortazione a fare di più, visto che le emissioni compensate non bastano certo a risolvere i problemi del cambiamento climatico.
Questo, in estrema sintesi, è il pensiero espresso dall'esperta di riforestazione, consulente scientifico di Plant-for-the-Planet e The Carbon Community, in un articolo apparso in questi giorni sulla Conversation.
La foresta, in particolare quella pluviale, è un sistema estremamente complesso. Migliaia di ricercatori in tutto il mondo cercano di capire il destino delle foreste tropicali in un mondo in rapida evoluzione. Eppure, pur sapendone così poco, la nostra società chiede tanto a questi fragili ecosistemi, che controllano la disponibilità di acqua dolce per milioni di persone e ospitano i due terzi della biodiversità terrestre del pianeta. E oggi, abbiamo posto una nuova richiesta su queste foreste: salvarci dal cambiamento climatico causato dall'uomo.
Le piante assorbono la CO₂ dall'atmosfera trasformandola in foglie, legno e radici. Questo miracolo quotidiano ha stimolato la speranza che le piante, in particolare gli alberi tropicali a crescita rapida, possano agire come un freno naturale al cambiamento climatico, catturando gran parte della CO₂ emessa dalla combustione di combustibili fossili. In tutto il mondo, i governi, le aziende e gli enti di beneficenza per la conservazione si sono impegnati a conservare foreste o piantare un numero enorme di alberi.
Il problema è che, numeri alla mano, non ci sono abbastanza alberi per bilanciare le emissioni di carbonio della società, e non ci saranno mai. Bonnie Waring ha condotto una meta-ricerca per valutare quanto le foreste di carbonio potrebbero assorbire in modo fattibile. Ne è risultato che, se massimizzassimo la quantità di vegetazione che tutta la Terra potrebbe contenere, sequestreremmo abbastanza carbonio per neutralizzare circa dieci anni di emissioni di gas serra ai tassi attuali. Dopodiché, non potrebbero esserci ulteriori aumenti della cattura del carbonio. Quindi, la produzione di CO₂ dovrebbe fermarsi.
Ma il destino del pianeta è indissolubilmente legato alla sopravvivenza delle foreste e alla biodiversità che contengono. Piantando alberi a casaccio (vedi Il greenwashing degli YouTuber) potremmo danneggiare le stesse foreste. Le piante convertono la CO₂ in zuccheri semplici in un processo noto come fotosintesi. Questi zuccheri vengono quindi utilizzati per costruire i corpi viventi delle piante. Se il carbonio catturato finisce nel legno, può essere bloccato lontano dall'atmosfera per molti decenni. Quando le piante muoiono, si decompongono e vengono incorporate nel terreno.
Questo processo rilascia naturalmente CO₂ attraverso la respirazione dei batteri aerobi, ma una parte del carbonio vegetale può rimanere sottoterra per decenni o addirittura secoli. Complessivamente, le piante terrestri e il suolo contengono circa 2.500 gigatonnellate di carbonio, vale a dire il triplo di CO₂ presente nell'atmosfera.
Le piante hanno bisogno di quattro ingredienti di base per crescere: luce, CO₂, acqua e sostanze nutritive (come azoto, potassio e fosforo). C'è molto dibattito scientifico sulla quantità precisa di carbonio che le piante possono assorbire dall'atmosfera. Ma i ricercatori sono unanimemente d'accordo sul fatto che gli ecosistemi terrestri hanno una capacità limitata di assorbire il carbonio, perché tutto è governato da equilibri molto fragili.
Se ci assicuriamo che gli alberi abbiano abbastanza acqua, le foreste cresceranno alte e rigogliose, creando baldacchini ombrosi che limiteranno la crescita degli alberi più piccoli. Se aumentiamo la concentrazione di CO₂ nell'aria, le piante la assorbiranno avidamente, fino a quando non saranno più in grado di estrarre abbastanza fertilizzante dal terreno per soddisfare i loro bisogni.
Riconoscendo questi vincoli fondamentali, gli scienziati stimano che gli ecosistemi terrestri possano contenere una vegetazione addizionale sufficiente per assorbire tra 40 e 100 gigatonnellate di carbonio dall'atmosfera. Una tantum. Una volta raggiunta questo livello, non vi sarà più capacità per stoccaggio di carbonio aggiuntivo sulla terra.
Ma la nostra società sta attualmente riversando nell'atmosfera 10 gigatonnellate di carbonio all'anno. I processi naturali faranno fatica a tenere il passo con questo ritmo. Solo per fare un esempio, un solo passeggero su un volo di andata e ritorno da Roma a Melbourne, emetterà circa il doppio della quantità di carbonio (1600 kg) di quella contenuta in una quercia di mezzo metro di diametro (750 kg).
Nonostante questo, il mondo cerca di aumentare la copertura vegetale per mitigare l'emergenza climatica. La stragrande maggioranza di questi sforzi si concentra sulla protezione o sull'espansione delle foreste (vedi Nelle mani dei popoli indigeni), poiché gli alberi contengono molte volte più biomassa degli arbusti o delle erbe e rappresentano quindi un maggiore potenziale di cattura del carbonio.
Eppure, nelle sottili complessità degli ecosistemi forestali, si cela il pericolo che piantare alberi sia dannoso. Per evitare danni ambientali, dobbiamo astenerci da piantare alberi in luoghi che non possono accoglierli, evitando soprattutto di abbattere le foreste esistenti per piantare nuovi alberi, anche se teoricamente più efficienti.
Prima di intraprendere qualsiasi espansione dell'habitat forestale, dobbiamo assicurarci che gli alberi siano piantati nel posto giusto perché non tutti gli ecosistemi sulla terra possono sostenere gli alberi. Piantare alberi in ecosistemi normalmente dominati da altri tipi di vegetazione spesso non riesce a provocare il sequestro del carbonio a lungo termine.
Un esempio proviene dalle torbiere scozzesi, dove la vegetazione bassa cresce in un terreno costantemente umido. Questi ecosistemi contengono 20 volte più carbonio di quanto si trova nelle foreste del Regno Unito.
Alla fine del XX secolo, alcune paludi scozzesi furono prosciugate per la piantumazione di alberi. L'essiccazione del terreno ha permesso alle piantine degli alberi di stabilirsi, ma ha anche accelerato il decadimento della torba. La decomposizione della torba essiccata ha rilasciato più carbonio di quanto gli alberi in crescita potrebbero assorbire. La lezione che abbiamo imparato è che le torbiere possono salvaguardare meglio il clima se vengono lasciate stare.
Lo stesso vale per le praterie e le savane, ma anche le tundre artiche, dove la vegetazione autoctona è coperta dalla neve per tutto l'inverno, riflettendo la luce e il calore nello spazio. Piantare alberi alti e dalle foglie scure in queste aree può aumentare l'assorbimento di energia termica e portare al riscaldamento locale.
Ma anche piantare alberi negli habitat forestali può portare a risultati ambientali negativi. Dal punto di vista sia del sequestro del carbonio che della biodiversità, tutte le foreste non sono uguali: le foreste naturali contengono più specie di piante e animali rispetto alle foreste antropiche. Spesso contengono anche più carbonio.
Gli alberi non sono macchine per l'assorbimento del carbonio. Molte organizzazioni ben intenzionate cercano di piantare gli alberi che crescono più velocemente, poiché questo teoricamente significa un tasso più elevato di "prelievo" di CO₂ dall'atmosfera. Niente di più sbagliato: in prospettiva climatica, ciò che conta non è la velocità con cui un albero può crescere, ma quanto carbonio contiene alla maturità e per quanto tempo quel carbonio risiede nell'ecosistema.
Per questo le foreste vecchie vanno conservate, anche quando non sono più in grado di sequestrare ulteriore CO₂: trascurare la loro conservazione comporterebbe la liberazione di una quantità enorme di carbonio.
Allo stesso modo, bruciare legna come fonte di biocarburante può avere un impatto positivo sul clima se questo riduce il consumo totale di combustibili fossili. Ma le foreste gestite come piantagioni di biocarburanti forniscono poco in termini di protezione della biodiversità, e alcune ricerche mettono in discussione i benefici dei biocarburanti per il clima in primo luogo.
Gli ecosistemi terrestri non saranno mai in grado di assorbire la quantità di carbonio rilasciata dalla combustione di combustibili fossili. Piuttosto che lasciarci cullare in un falso compiacimento da progetti di piantumazione, dobbiamo tagliare le emissioni alla fonte e cercare strategie aggiuntive per rimuovere il carbonio che si è già accumulato nell'atmosfera.
Ma anche la protezione e l'espansione degli habitat naturali, in particolare delle foreste, è assolutamente vitale per garantire la salute del nostro pianeta. Le foreste nelle zone temperate e tropicali contengono otto specie su dieci sulla terra, ma sono sempre più minacciate. Quasi la metà della terra abitabile del nostro pianeta è dedicata all'agricoltura e il disboscamento per terreni coltivati o pascoli continua a ritmo sostenuto.
Nel frattempo, aumentano gli incendi, peggiora la siccità e si riscalda sistematicamente il pianeta, ponendo una minaccia crescente per le foreste e la fauna selvatica che supportano. I ricercatori hanno dimostrato forti legami tra biodiversità e cosiddetti "servizi ecosistemici", una lista lunghissima di utilità, che non consistono solo nella rimozione di CO₂, ma che comprendono anche la sicurezza alimentare (per esempio fornitura di pesce selvatico, o l'impollinazione).
Molti sforzi di piantumazione di alberi si concentrano sul numero di alberelli piantati o sul loro tasso di crescita iniziale, entrambi indicatori insufficienti della capacità massima di stoccaggio del carbonio della foresta e una metrica ancora più scarsa della biodiversità.
Considerare le foreste come serbatoi per la biodiversità, piuttosto che semplici depositi di carbonio, complica il processo decisionale e richiede cambiamenti nella politica. E la nostra classe politica, a livello mondiale, non è preparata a una simile sfida. Lo ha dimostrato nella scellerata gestione della pandemia da COVID-19.