Secondo un rapporto delle Nazioni Unite, i popoli indigeni dell'America Latina sono i migliori possibili custodi delle foreste: dove ci sono loro, i tassi di deforestazione sono molto inferiori.
La protezione delle foreste è fondamentale per affrontare la crisi climatica con qualche speranza di farla franca. Cattive notizie giungono dall'America Latina, dove al problema degli alberi, vitali per il sequestro di CO₂, si aggiunge il crollo della fauna selvatica. Un rapporto della FAO ha rilevato che riconoscere i diritti dei popoli indigeni sulla loro terra è, oltre che doveroso, anche molto conveniente dal punto di vista ambientale. Il rapporto chiede inoltre che le persone siano pagate per i benefici ambientali forniti dalla loro presenza, e per finanziare la conservazione e la trasmissione della loro conoscenza ancestrale del vivere in armonia con la natura.
Il rapporto è stato prodotto dalla FAO, l'agenzia dell'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura e il Fondo per lo sviluppo dei popoli indigeni dell'America Latina e dei Caraibi (Filac), sulla base di una revisione di oltre 300 studi.
I territori abitati dagli indigeni contengono circa un terzo di tutto il carbonio immagazzinato nelle foreste dell'America Latina. Questi popoli sono ricchi di cultura, conoscenza e risorse naturali, ma sono tra i più poveri in termini di reddito e accesso ai servizi. Sostenerli aiuterebbe anche a evitare nuove pandemie, ha detto, poiché queste sono il più delle volte il risultato della distruzione della natura.
La stessa esistenza di questi popoli è messa sotto seria minaccia dalla domanda di carne bovina, soia, legname, petrolio e minerali, merci per le quali gli speculatori sono in grado di pagare cospicue provvigioni ai governanti degli Stati in cui insistono queste foreste. Le richieste dei popoli indigeni per i loro diritti sono diventate sempre più visibili negli ultimi anni, afferma il rapporto, ma questo ha purtroppo coinciso con crescenti persecuzioni, razzismo e omicidi. Centinaia di leader di comunità sono stati uccisi a causa di controversie sulla terra negli ultimi anni e la pandemia Covid-19 si è aggiunta ai pericoli che le persone delle foreste devono affrontare.
Supportare queste popolazioni per proteggere le foreste è particolarmente cruciale ora con gli scienziati che avvertono che l'Amazzonia si sta avvicinando a un punto di svolta in cui la foresta pluviale si sta trasformando in savana, rischiando il rilascio di miliardi di tonnellate di carbonio nell'atmosfera.
"Quasi la metà delle foreste intatte nel bacino amazzonico si trova in territori indigeni e l'evidenza del loro ruolo vitale nella protezione delle foreste è cristallina", sostiene Myrna Cunningham, presidente di Filac, indigena del Nicaragua. "L'area di foresta intatta è diminuita solo del 5% tra il 2000 e il 2016 nelle aree indigene della regione, ma nelle aree non indigene è diminuita dell'11%. Questo è il motivo per cui le popolazioni indigene dovrebbero essere prese in considerazione in tutte le iniziative globali relative al cambiamento climatico, alla biodiversità e alla silvicoltura."
Pur sotto l'assedio del Covid-19 e un aumento spaventoso delle invasioni da parte dei coloni che distruggono le foreste, gli indigeni possono fermare il continuo attentato alla biodiversità. Occorre fare in modo che una cospicua parte dei fondi per il clima vadano direttamente alle popolazioni indigene e non ai governi vulnerabili alla corruzione.
Secondo il rapporto, la migliore protezione delle foreste è stata fornita da persone con titoli legali collettivi sulle loro terre. Uno studio di 12 anni nell'Amazzonia boliviana, brasiliana e colombiana ha rilevato che i tassi di deforestazione in tali territori sono solo dalla metà a un terzo di quelli in altre foreste simili. Anche se i territori indigeni coprono il 28% del bacino amazzonico, hanno generato solo il 2,6% delle emissioni di carbonio della regione, afferma il rapporto.
Le popolazioni indigene occupano 400 milioni di ettari di terra nella regione, ma in un terzo di quest'area non esiste alcun riconoscimento legale dei loro diritti di proprietà. Rafforzare legalmente la titolarità di queste popolazioni costerebbe circa 45 dollari per ettaro. Un'inezia.
Il rapporto afferma che costerebbe molte volte di più prevenire le emissioni di carbonio (derivanti dalla combustione di combustibili fossili) utilizzando la tecnologia di cattura e stoccaggio del carbonio (vedi Bioenergia con Cattura e Stoccaggio di Carbonio) nelle centrali elettriche. La concessione dei diritti sulla terra alle popolazioni indigene è aumentata nel corso degli ultimi 20 anni, ma negli ultimi anni ha subito un rallentamento.
Il pagamento delle comunità indigene e tribali per i servizi ambientali dei loro territori ha ridotto la deforestazione in paesi come Ecuador, Messico e Perù. Questi programmi potrebbero attirare centinaia di milioni di dollari all'anno da fonti internazionali.
La necessità di protezione è urgente, afferma il rapporto, visto che la deforestazione annuale nei territori indigeni del Brasile è aumentata da 10.000 ettari nel 2017 a 43.000 ettari nel 2019. A gennaio, i leader indigeni hanno esortato il tribunale penale internazionale a indagare sul presidente del Brasile, Jair Bolsonaro, per il suo smantellamento delle politiche ambientali e le violazioni dei diritti degli indigeni.
Anche altrove l'area delle grandi foreste intatte nei territori indigeni è diminuita tra il 2000 e il 2016: il 59% è stato perso in Paraguay, il 42% in Nicaragua, il 30% in Honduras e il 20% in Bolivia. Le concessioni minerarie e petrolifere ora coprono quasi un quarto della terra nei territori indigeni e tribali del bacino amazzonico, afferma il rapporto.