La possibilità di raggiungere l'obiettivo climatico con la bioenergia + cattura&stoccaggio (BECCS) è limitata, secondo una ricerca. Risultati apprezzabili solo dopo un trentennio, e uso intensissimo di suolo. Urge un piano B.
La bioenergia con cattura e immagazzinamento del carbonio (Bio-energy with carbon capture and storage - BECCS) è un processo di questi tempi molto in voga. Tecnicamente, consiste nell'associare l'energia rinnovabile derivata da fonti biologiche (biomassa) con la cattura e stoccaggio della CO2 (vedi La ricetta della Shell contro il cambiamento climatico e CO2 sotto terra), rimuovendo così la CO2 dall'atmosfera a tempo indeterminato.
L'implementazione su larga scala della BECCS è presa in grandissima considerazione dalla UE (e non solo) per raggiungere gli obiettivi climatici stabiliti nell'accordo di Parigi. L'utilizzo di biomassa crea un bilancio carbonico sostanzialmente neutro (la CO2 prodotta nella combustione era stata precedentemente catturata dalle piante per la produzione di biomassa). Ma l'aggiunta del processo di cattura&stoccaggio fa intrappolare l'anidride carbonica nelle rocce del sottosuolo, portando il bilancio dell'intero processo carbonico a essere negativo.
Detto in altre parole, da un lato abbiamo l'accordo di Parigi, che mira a limitare l'aumento della temperatura globale ben al di sotto di 2 gradi Celsius e preferibilmente di 1,5 gradi rispetto alla media pre-industriale. Dall'altro abbiamo le necessità di un'economia che può essere fermata o rallentata solo a scapito di grandi sofferenze e crisi. Molti studi di scenario suggeriscono che la bioenergia, associata alla cattura e stoccaggio del carbonio, in breve BECCS, possa essere una tecnologia chiave per raggiungere questi obiettivi.
Purtroppo arrivano brutte notizie da un nuovo studio pubblicato su Nature Climate Change il 24 agosto, condotto da ricercatori della Radboud University, Utrecht University e PBL Netherlands Environmental Assessment Agency. La ricerca mostra che, per un periodo di 30 anni, la BECCS può svolgere solo un ruolo modesto. La valutazione della BECCS nel corso dell'intero 21° secolo (80 anni) porta invece a un quadro diverso: il potenziale totale potrebbe essere enorme, grande quanto le attuali emissioni di CO2. Ma anche qui ci sarebbe la fregatura: il tutto avverrebbe al prezzo di un grande consumo di terra.
Come detto, grazie alla BECCS, la produzione di biomassa funge da serbatoio di carbonio durante la sua fase di crescita. Catturando successivamente la CO2 dopo la combustione della biomassa e immagazzinandola nel sottosuolo, la BECCS può infatti rimuovere la CO2 dall'atmosfera. Il saldo netto di BECCS dipende, tuttavia, non solo dalla CO2 immagazzinata nel sottosuolo, ma anche dalle emissioni di CO2 create durante la lavorazione, il trasporto e la produzione della biomassa.
Una corretta valutazione del potenziale BECCS per le emissioni negative deve quindi tenere conto di diversi fattori chiave, come l'ubicazione della produzione di biomassa, il periodo di tempo durante il quale viene valutato l'impatto e il tipo di energia prodotta. I ricercatori della Radboud University, PBL Netherlands Environmental Assessment Agency e Utrecht University sono stati in grado di utilizzare un modello di computer unico che tiene conto di tutti questi fattori valutando il potenziale della BECCS da materie prime lignocellulosiche in tutto il mondo.
I risultati sono un po' complicati da interpretare. Se valutato nell'arco dei prossimi trent'anni, il potenziale della BECCS è 28 exajoule (1 exajoule = 10 alla 18 joule) all'anno di elettricità con emissioni negative, vale a dire un sequestro di 2,5 Gtonnellate (1 Gton = 10 alla 9 ton) di CO2 all'anno. Numeri che significano il 5% delle attuali emissioni mondiali di CO2.
Ma se proiettiamo queste previsioni per l'intero 21° secolo, il potenziale può essere molto più grande, fino a 220 EJ all'anno e 40 Gton di CO2 all'anno nel caso più ottimistico. Questo ammonta più o meno alla totalità delle emissioni attuali, cioè un'efficacia di tutto rispetto.
Il caso più ottimistico, che permetterebbe alle BECCS di contribuire sensibilmente a raggiungere gli obiettivi climatici, tuttavia, porterebbe a un fabbisogno di terra di grandi dimensioni, portando inevitabilmente alla concorrenza con altri usi del suolo: la produzione alimentare e la protezione della biodiversità. Nei casi più estremi, entro il 2100 sarebbero necessari da 0,8 a 2,4 miliardi di ettari di terreno per coltivare colture lignocellulosiche per le BECCS, che equivale dal 5 al 16% della superficie terrestre totale sulla Terra.
I risultati, insomma, ci sarebbero, se abbiamo il tempo di aspettare più di trent'anni (ce l'abbiamo?), ma occorre affrontare un chiaro costo di uso estensivo del suolo. Dovrebbe, quindi, essere utilizzato solo in combinazione con opzioni più importanti per la riduzione delle emissioni di gas serra. Per esempio, si potrebbero utilizzare solo le biomasse di scarto proveniente da colture alimentari. Come sempre, le scorciatoie tecnologiche non esistono, e occorre operare sempre delle dolorose scelte, come quella tra dar da mangiare ai nostri figli o alle centrali elettriche.