L'idrogeno blu potrebbe avere un impatto sul clima peggiore, fino al 20%, rispetto al gas naturale, lo sostiene una ricerca. Nemmeno il carbone sarebbe così climalterante.
I ricercatori della Cornell University e della Stanford University hanno affermato che l'idrogeno blu potrebbe potenzialmente essere il 20% peggiore per il clima rispetto alla combustione di gas naturale o addirittura superiore rispetto al carbone.
Pubblicata sulla rivista Energy Science and Engineering, la ricerca stima che l'impronta di gas serra dell'idrogeno blu sia addirittura il 60% maggiore rispetto alla combustione di gasolio per il riscaldamento.
Per spiegarci, occorre partire dal concetto che il tipo di estrazione di idrogeno più diffuso oggi è quello che lo ricava dal gas naturale, con un processo che richiede molta energia e che emette quantità notevole di anidride carbonica. Inoltre, con lo stesso sistema, viene rilasciato metano, anch’esso tra i gas serra che non dovrebbero aumentare in eccesso e di cui si parla sempre poco in relazione ai danni da esso provocati.
Il team scientifico suggerisce che l'idrogeno blu richieda eccessive quantità di gas naturale per la produzione e afferma che anche con la più avanzata tecnologia di cattura e stoccaggio del carbonio (altra bufala tecnologica, vedi Geo palliativi: il mondo scommette sulla cattura del carbonio), ci sarebbe "una quantità significativa di emissioni di anidride carbonica e metano che non viene catturata".
Questa ricerca mette in serio imbarazzo le autorità politiche di tutto il mondo, che sull'idrogeno si stanno spendendo come fosse una panacea per il cambiamento climatico. In sostanza, gli autori osservano che l'idrogeno blu potrebbe essere una distrazione che potrebbe ritardare l'azione per decarbonizzare l'economia energetica globale.
Robert Howarth, coautore dello studio e professore di ecologia e biologia ambientale alla Cornell University, ha dichiarato: "I politici di tutto il mondo, dal Regno Unito e dal Canada all'Australia e al Giappone, stanno scommettendo pesante sull'idrogeno blu come soluzione leader nel la transizione energetica."
La ricerca è la prima in una rivista peer-reviewed a definire l'intensità significativa delle emissioni del ciclo di vita dell'idrogeno blu. Un segnale di avvertimento per i governi che l'unico idrogeno "pulito" in cui dovrebbero investire fondi pubblici è l'idrogeno verde ottenuto da energia eolica e solare.
I politici nicchiano. Secondo il governo britannico, l'idrogeno blu, cioè quello che loro chiamano erroneamente "a basse emissioni di carbonio," sarà essenziale per rispettare l'impegno di eliminare il contributo del Regno Unito al cambiamento climatico entro il 2050, rimandando alla prossima strategia per l'idrogeno la definizione dei dettagli tecnici. Un po' come faceva Giuseppe Conte, che, di fronte all'indecisione delle forze politiche, promulgava leggi "salvo intese".
Secondo Londra, rapporti indipendenti, incluso quello dell'IPCC, il comitato sui cambiamenti climatici (vedi IPCC: cosa ci dice il rapporto sul clima), mostrerebbero che una combinazione di idrogeno blu e verde sarebbe "coerente con il raggiungimento dello zero netto".
Si tratta di un'affermazione in politichese stretto, a significare che anche l'utilizzo di tecnologie sporche sarebbe funzionale al cambiamento tecnologico, in attesa che la produzione di idrogeno diventi del tutto verde.
Il ragionamento non farebbe una grinza, però purtroppo prelude a impegni sempre maggiori da parte delle aziende di investire, magari incentivate, in tecnologie che già adesso paiono obsolete. A questo si aggiunge il massiccio greenwashing che sfrutta l'idrogeno non-verde per pulire comportamenti inaccettabili da parte di multinazionali responsabili del riscaldamento globale, come abbiamo denunziato in Tutti pazzi per l'idrogeno.
Sarebbe forse il caso di puntare tutto sulla esclusiva produzione di idrogeno verde, invece che perdere tempo su quello blu.