Con la repressione delle aziende inquinanti, la Cina cerca di mantenere la leadership del commercio globale, che oggi si sta orientando verso la sostenibilità. È un equilibrio delicato, quello tra crescita economica e salvaguardia ambientale.
Un'ondata di ispezioni, sostenute dal favore popolare, sta multando e chiudendo le fabbriche inquinanti cinesi. Secondo alcune stime, il 40% degli stabilimenti ha chiuso, per potenziare i sistemi anti-inqunamento, o si sta trasferendo all'estero.
Il governo cinese sta imponendo all'industria interna una pillola amara:
una colossale operazione di polizia volta a ispezionare le fabbriche di tutta la nazione. Gli stabilimenti che non rispettano le (severe) leggi cinesi sull'inquinamento atmosferico, sono in questo momento soggette a un aut-aut: produrre subito in modo pulito o
chiudere fino al raggiungimento degli obiettivi ambientali.
La polizia sta monitorando le fabbriche con un grande dispiegamento di forze e senza fare sconti. In alcuni casi, i dirigenti delle fabbriche non conformi sono stati spediti nelle patrie galere. Il Ministero dell'ambiente cinese sta inviando ispettori nelle province di tutto il paese e ha messo sotto accusa
80.000 fabbriche con reati penali, secondo la National Public Radio. Molte aziende hanno dovuto smettere di produrre, e in alcuni casi, si sono spostate fuori dal paese.
Secondo alcune stime,
il 40% di tutte le fabbriche cinesi è stato temporaneamente chiuso in questa mega-operazione. L'opinione pubblica non si è schierata a favore delle aziende, anzi. Segno che il livello di inquinamento è giunto ben oltre la soglia tollerata dai cittadini.
Come si è arrivati questo punto?
Lo smog ha coperto le città, cancellando voli aerei e operazioni di porto, il tutto è costato in salute e affari. Parte della questione è l'attuale eccessivo uso del carbone, sebbene il governo stia tentando di passare a combustibili più puliti (vedi
Ancora tegole per il carbone) non solo per pulire le proprie città, ma anche per adempiere all'accordo climatico di Parigi su cui si è impegnato.
Secondo alcuni analisti, questa politica danneggia solo temporaneamente le aziende cinesi, perché nel lungo periodo le renderà più competitive nel rispettare le (eventuali) politiche ambientali rigorose della grande distribuzione. Guardando il bicchiere mezzo pieno, l'ondata di ispezioni lascerà le fabbriche migliori, più sostenibili e più socialmente responsabili. Molte aziende vedono che una catena di approvvigionamento virtuosa e trasparente migliorerà i rapporti con la clientela, quando essa è rappresentata da grandi gruppi come Walmart, Costco e altri.
Soprattutto negli USA, infatti, i principali rivenditori, fregandosene beatamente dei proclami di Trump, cercano di ridurre la propria impronta di carbonio.
WalMart, per esempio, ha fissato tre obiettivi: raggiungere lo spreco-zero, aumentare le energie rinnovabili e vendere prodotti più sostenibili, anche nel packaging. L'azienda definì questi obiettivi nel 2005, in maniera vaga, ma ora si promette di raggiungerli nella pratica.
Si tratta oggi di obiettivi concreti come zero-rifiuti nelle operazioni aziendali, 100% di energie rinnovabili (il 50% entro il 2025) e vendere prodotti eco-sostenibili in termini di risorse naturali e inquinamento.
Ma il punto non è solo migliorare le prestazioni ambientali delle industrie cinesi. Gli Stati Uniti e la Cina, insieme, producono circa il 42 per cento di tutte le emissioni di gas a effetto serra. Negli USA le emissioni sono in calo a causa della transizione da carbone a gas. Ma in Cina sono in aumento, in gran parte perché si sta costruendo un generatore di carbone al mese.
La Cina fa parte della Commissione per la transizione energetica e in virtù di questo sta assumendo precise strategie ambientali che la porteranno a essere
leader nel settore (vedi
Ambiente: Cina pronta a essere leader). Utilizzerà ancora a lungo il carbone. Ma lo userà in misura molto inferiore.
Uno dei programmi in cui il paese asiatico sta investendo è la produzione avanzata di energia da carbone, come gli impianti supercritici e ultra-supercritici. Detto in maniera comprensibile, si tratta di convertire il carbone in un combustibile a basso tasso di carbonio. General Electric Corp., ad esempio, sta implementando la tecnologia di
gasificazione del carbone.
Il governo cinese si sta anche muovendo per
diversificare il suo portafoglio energetico: entro il 2020, la Cina dice che la potenza da rinnovabili aumenterà dal circa 10 per cento attuale al 15 per cento della potenza complessiva. Entro il 2050 si raggiungerà il 30 per cento.
La Cina sta facendo questi passi per ridurre le emissioni non solo per dare ai propri cittadini una migliore qualità della vita, ma anche perché cerca di mantenere la leadership del commercio globale, che oggi si sta orientando verso la sostenibilità.
È un equilibrio delicato, quello tra crescita economica e salvaguardia ambientale. Un equilibrio che cercherà di mantenere grazie alle nuove tecnologie.