Le bioplastiche sono propagandate dall'industria della chimica come la soluzione all'inquinamento da plastica. Ma questo messaggio si fonda su false premesse: la plastica vegetale non si decompone da sola, deve essere raccolta e trattata correttamente. Tanto vale riciclare e riutilizzare la cara e vecchia plastica.
Coca-Cola lo chiama PlantBottle, un nuovo tipo di contenitore di plastica riciclabile, il 30% del quale è realizzato con canna da zucchero e altre piante, con il restante 70% realizzato con plastica tradizionale. L'azienda afferma che l'imballaggio PlantBottle ora rappresenta quasi un terzo del suo volume di bottiglie in Nord America e il 7% a livello mondiale.
Ma una plastica fatta solo parzialmente di materia vegetale, può risolvere uno dei problemi ambientali più gravi del mondo, ovvero la plastica che soffoca gli oceani? Evidentemente no: i tempi di decomposizione di questo tipo di plastiche sono in genere del tutto paragonabili alla plastica tradizionale, e, nel migliore dei casi, non determinano la pulizia dell'ambiente in tempi accettabili. Ma aziende come Coca-Cola e Pepsi, sotto pressione pubblica per il problema dell'inquinamento da plastica, preferiscono rivolgersi al greenwashing, piuttosto che mettere in discussione la plastica monouso.
Le bioplastiche, che in parte costituiscono la PlantBottle di Coca-Cola, sono state pubblicizzate come una soluzione al problema mondiale dell'inquinamento da plastica. Ma nessuno è riuscito a creare una plastica vegetale che soddisfi le esigenze del prodotto e, dopo l'uso, ritorni a far parte della natura. Secondo Ramani Narayan, della School of Packaging dell'Università Statale del Michigan, "nessuno potrebbe progettare qualcosa del genere, nemmeno la natura."
È evidente che sarebbe meglio sospendere tutte le ricerche sulle bioplastiche, e concentrare gli sforzi nel riciclare quantità di plastica sempre maggiori di quelle attualmente riutilizzate. Abbiamo scritto in 2040, oceani e plastica, di uno studio, Breaking the Plastic Wave, che ha rilevato che, nonostante gli sforzi dell'industria, dei governi e delle ONG, il problema della plastica sta peggiorando molto.
Lo studio stima che circa 11 milioni di tonnellate di plastica ora finiscono negli oceani ogni anno, 3 milioni in più rispetto alle stime precedenti, e afferma che se il mondo continuasse il suo attuale corso di consumo di plastica alle stelle, la quantità di rifiuti di plastica prodotta triplicherebbe entro il 2040. L'unica soluzione a questo problema è una massiccia revisione da 600 miliardi di dollari del sistema mondiale della plastica per riutilizzare e riciclare la plastica in un'economia circolare. Se queste raccomandazioni venissero adottate, afferma il rapporto, i rifiuti di plastica potrebbero essere ridotti dell'80% nei prossimi due decenni.
Tra i rimedi proposti nella relazione vi sono l'eliminazione degli imballaggi in plastica ove possibile, sostituiti con carta o materiale compostabile, la progettazione di prodotti per un riciclaggio efficace, l'aumentare del riciclo meccanico, l'aumento degli sforzi di raccolta e riciclo nei paesi a reddito moderato e basso, dove ha origine la stragrande maggioranza della plastica oceanica, e la fine delle esportazioni di rifiuti di plastica, il che costringerebbe i paesi in cui vengono generati i rifiuti a trovare soluzioni al problema della plastica.
L'idea che i produttori di oggetti plastici, come Coca-Cola, si assumano l'onere finanziario per il riciclo dei materiali che producono, sta iniziando a guadagnare un certo favore. Dall'Oceano Artico, alle spiagge del Mediterraneo, ai fiumi dell'India, la plastica si sta accumulando in quantità sbalorditive, soprattutto negli ambienti marini. Secondo uno studio della rivista Scientific Reports, il Great Pacific Garbage Patch è diventato grande come due volte e mezzo il Texas. E questa plastica, che alla fine si scompone in particelle su scala nanometrica, viene consumata da organismi dalle alghe alle balene, e non se ne andrà mai.
Perché la bioplastica è una fregatura? Gli imballaggi in plastica monouso a base di petrolio, in genere polietilentereftalato o PET, sono quelli più diffusi per bevande e alimenti. È, per molti versi, l'imballaggio perfetto: forte, leggero, versatile, trasparente ed economico. Protegge estremamente bene i prodotti, li mantiene freschi e può persino resistere all'acido e alla pressione senza rompersi o diventare permeabile per anni.
La bioplastica deve replicare queste funzioni, per essere appetibile per i clienti. Le due bioplastiche più comunemente utilizzate sono il PHA, abbreviazione di poliidrossialcanoato, generalmente costituito da zuccheri dalle alghe, e il PLA, o acido polilattico, che è ottenuto dallo zucchero presente in colture come mais e canna da zucchero. Il PLA ha un decimo del costo del PHA ed è quindi più ampiamente utilizzato per le posate usa e getta e una varietà di imballaggi. Il PHA è utilizzato come rivestimento per l'interno di bicchieri di carta e applicazioni mediche.
Nessuna di queste bioplastiche è molto utilizzata, tuttavia, perché semplicemente non sono paragonabili, per resistenza e altre proprietà, alla plastica tradizionale e costano sostanzialmente di più. Il mercato mondiale della plastica vale 1.200 miliardi di dollari. Le bioplastiche hanno una quota di mercato attorno ai 9 miliardi di dollari.
Entrambe le bioplastiche attualmente in uso possono essere decomposte da microrganismi in un breve periodo di tempo, ma ciò accade solo se la plastica viene raccolta e compostata in impianti di compostaggio industriali ad alta temperatura. Non ce ne sono molti, soprattutto nei paesi in via di sviluppo dove il problema dell'inquinamento da plastica è più grave. E quando le bioplastiche finiscono nelle discariche, come fanno molti, senza ossigeno sufficiente per scomporle, possono durare per secoli e rilasciare metano, un potente gas serra. Se gettati nell'ambiente, rappresentano minacce simili alla plastica PET.
"Sono fondamentalmente uguali alla plastica e non si decompongono come la gente pensa," ha affermato Rebecca Burgess, CEO di City to Sea, un'organizzazione no profit britannica fondata per ridurre la plastica negli oceani. “Spesso finiscono per essere spazzatura che sporca le nostre strade e gli oceani e uccide la vita marina. Ridurre la quantità di imballaggi monouso che utilizziamo è l'unica soluzione."
Gli svantaggi delle bioplastiche fino ad oggi non hanno impedito a operatori di marketing come Coca-Cola di suggerire che il problema dell'inquinamento da plastica fosse risolto. Usano i termini popolari, anche se vaghi, "a base vegetale" o "a base biologica" o "compostabile", per esempio. "Il marketing è altamente offensivo in questo settore", dice Taylor Weiss, assistente professore presso l'Arizona State University che ricerca bioplastiche a base di alghe.
Ma non è solo una questione di composizione del mix finale: anche una plastica al 100% vegetale impiega molti anni per degradarsi, se semplicemente gettata. In più, poiché è prodotta dalle piante, presenta i problemi ambientali causati dall'agricoltura su larga scala. Gli zuccheri utilizzati per produrre la bioplastica provengono spesso da colture transgeniche irrorate con erbicidi e pesticidi, e queste colture tolgono la terra dalla produzione alimentare, necessaria per nutrire una popolazione mondiale in crescita. Ciò rispecchia i problemi riscontrati nei biocarburanti, che erano allo stesso modo visti come una soluzione ambientale. Gli esperti dicono che l'uso di bioplastiche e biocarburanti aumenterà notevolmente la terra necessaria per l'agricoltura.
E infine c'è il grave problema della compatibilità: i PLA possono contaminare il flusso di riciclo dei rifiuti delle plastiche a base di petrolio, che in genere vengono riciclate chimicamente. Per questo, molti comuni impongono di gettare nell'indifferenziato i sacchetti di bioplastica non utilizzati per contenere l'umido.
In Europa circa il 42% degli imballaggi in plastica è stato riciclato nel 2017, mentre negli Stati Uniti solo l'8,4% della plastica viene riciclato. Questi risultati sono in parte dovuti al deposito su cauzione, o vuoto a rendere (vedi Distributori di bottiglie alla rovescia). In Europa, 10 paesi hanno implementato piccole cauzioni sulle bottiglie di plastica e hanno ottenuto rendimenti impressionanti, tra il 97% in Norvegia.
Ci sono alternative non bioplastiche alla plastica tradizionale? Poca roba, e sviluppata lentamente, su piccola scala. Carlsberg, il produttore di birra danese, afferma di averci messo cinque anni a sviluppare una bottiglia di carta rivestita di bioplastica. Il produttore di alcolici Johnnie Walker afferma che il prossimo anno rilascerà una bottiglia di carta priva di plastica per una tiratura in edizione limitata del suo whisky.
Il riciclo delle bottiglie di plastica tradizionali rimane la sfida principale, soprattutto per i paesi a reddito basso e moderato, molti dei quali non dispongono praticamente di sistemi di riciclaggio. Fino al 95% della plastica trasportata dai fiumi negli oceani del mondo proviene da 10 fiumi in Asia e Africa.