Una delle conseguenze più attese della presidenza Biden è il ritorno degli USA all'interno dell'Accordo di Parigi sul clima. Una via piena di ostacoli e sicuramente non sufficiente a risolvere il problema, ma è comunque un inizio.
“Dalle parole ai fatti:” questa potrebbe essere l'aspettativa dei cittadini degli Stati Uniti e del mondo riguardo l’emergenza clima alla luce delle presidenziali della nazione nordamericana. Secondo le prime stime, l’elezione di Biden potrebbe ridurre il surriscaldamento globale di circa 0.1°C, rendendo gli obbiettivi dell’accordo di Parigi più facilmente raggiungibili.
L’accordo di Parigi, firmato nel 2015 da 195 paesi (Stati Uniti inclusi) mira a contenere la crescita della temperatura globale media entro un massimo di 2°C (preferibilmente 1.5°C) al di sopra della media registrata prima della rivoluzione industriale. L’uscita dall’Accordo da parte degli Stati Uniti, ufficiale questo 5 novembre, è stata uno dei cavalli di battaglia dell’amministrazione Trump, attuata probabilmente per sminuire il lavoro del suo predecessore e, allo stesso tempo, avvantaggiare gli interessi economici delle società e delle lobby dei combustibili fossili.
Nella sua campagna elettorale, Biden si è, per contro, allineato alle più virtuose strategie di stampo europeo, promettendo le zero emissioni nette entro il 2050, con un investimento di 1.700 miliardi di dollari (1.400 miliardi di euro) per ridurre le emissioni di circa 75 gigatonnellate di anidride carbonica nel giro di 30 anni.
Già questo sarebbe sufficiente, secondo il Climate Action Tracker (CAT, l'ente che analizza le azioni rivolte alle emissioni dei gas serra e come queste azioni influenzano l’obbiettivo dell’Accordo di Parigi), a evitare che la temperatura cresca di 0.1°C entro il 2100. Ma l'impresa non è facile, visto che gli Stati Uniti sono la più grande economia del mondo, e soprattutto sono al secondo posto per produzione mondiale di gas serra.
Ma in questo momento, per gli yankee, è quanto mai importante perdere in campo internazionale lo status di paese altamente inquinante, insieme con l'isolamento degli Stati Uniti, favorito dalla la presa di posizione di Trump verso qualsiasi iniziativa anti-riscaldamento mondiale, che ha lasciato spazio ad altri paesi come l'Europa e la Cina (che ha recentemente annunciato l’obbiettivo di zero emissioni entro il 2060) la leadership mondiale nella lotta al cambiamento climatico.
Sempre il CAT afferma che le iniziative prese in Cina sarebbero ancora più efficaci di quelle di Biden (ancora da prendere, ricordiamo), visto che comporterebbero alla temperatura globale di non crescere da 0.2 a 0.3°C. La Cina è seguita da Giappone, Corea del Sud e Unione Europea. Il ritorno degli Stati Uniti nel piano internazionale climatico sarebbe enormemente importante, in quanto la coalizione dei paesi impegnati nel raggiungere le zero emissioni entro il 2050 è in realtà essa stessa responsabile di più della metà delle emissioni globali. Naturalmente la buona volontà non è abbastanza, soprattutto perché Biden, mentre cercherà di rimediare al caos creato da Trump negli scorsi quattro anni, dovrà anche affrontare la dura opposizione dei Repubblicani.
Sfortunatamente, nel migliore dei casi, l’impegno congiunto di Stati Uniti e Cina riuscirà a ridurre il riscaldamento globale fino a un +2.3°C circa sui livelli registrati prima della rivoluzione industriale, quindi ben poco, rispetto all’obbiettivo auspicabile degli 1.5°C decisi dall’Accordo. Serve molto di più.
Gli Stati Uniti sembrano un neonato che sta imparando a fare i primi passi verso un mondo di consapevolezza ambientale. ma che, data la situazione, dovrebbe già essere in grado di correre velocemente. Non ci sono molte altre alternative, purtroppo.