Nella moda low cost, il riciclo dei vestiti al 100% è impossibile.
Greenpeace prova a difendere l'economia circolare nella moda presentando un report con 400 imprese del settore sostenibile e circolare.
Come tutta la filiera industriale, anche il settore della moda ha indirizzato il suo sguardo verso modelli di business e strategie per il riutilizzo dei vestiti usati e dei materiali di scarto per realizzare nuove fibre, allontanando, o meglio facendo passare in secondo piano colori e stili.
Durante la Settimana della moda che si è svolta a Milano quest'anno, sono state ricordate le sneaker di plastica riciclata e pescata negli oceani marchiate
Reebook, del recupero delle fibre di
H&M, dei Jeans affittati da Mud e delle scarpe con la tomaia realizzata con le manichette antincendio, riciclate e disaccoppiate da Venethica.
Ma gli eventi importanti per il settore saranno due, principalmente il Green Carpet Fashion Award, indetto dalla Camera Nazionale della Moda Italiana in collaborazione con EcoAge, durante il quale si premia il designer più innovativo in termini sociali e ambientali, ed infine il Global Change Award, lanciato dalla H&M Foundation, che ricerca idee innovative che spostino la moda da un sistema lineare ad uno circolare senza sprechi.
Ma può la moda low cost, quella del mordi e fuggi, essere davvero circolare?
Un marchio, caratterizzato da collezioni mensili, che non fa altro che promuovere immagini consumiste di corpi e tendenze, di vestiti a basso costo usa e getta, anche nel momento in cui ricicla fibre e tessuti, a torto si può definire circolare.
Se ci pensiamo, la moda in sé è gia di suo una contraddizione del termine di economia circolare.
Spesso si sente dire "quel vestito è ormai vecchio, è da buttare".
Non perchè sia consumato, rotto o fuori taglia, ma perché è ormai fuori dal trend.
L'invecchiamento dei nostri abiti, è letteralmente accelerato dalla moda stessa.
Chiara Campione, Senior Corporate Strategist di Greenpeace Italia, che durante la settimana della moda ha attaccato la finta economia circolare dei grandi marchi, ha affermato che l'economia circolare è ormai una parola scontata, sulla bocca di tutti, cui dietro vi è nascosto l'impossibile sogno del settore della moda di risolvere il problema del consumo eccessivo di risorse.
Ma in ogni caso va ridotto il consumo, perché il riciclo totale non è altro che un'utopia.
La moda low cost, di bassa qualità utilizzati in capi di pochi euro, che durano massimo una stagione, non sono sostenibili.
L'unico scopo del riciclo in questa tipologia di moda, è eliminare il senso di colpa dei consumatori ed invogliarli a comprare di più.
A provarci, è Greenpeace che ha presentato un report in cui illustra ben 400 esempi di slow fashion, sostenibile, responsabile e vicino all'economia circolare.
Soluzioni già avviate e replicabili anche da alcuni dei grandi brand della moda low cost, dalle fibre naturali alla riparazione dei vestiti da parte dei produttori, dalle fibre ricavate dagli scarti agricoli agli abiti a noleggio.
In ambito di business invece, è sempre più in voga il buy-back, ovvero il riacquisto e l'affitto di jeans e cappotti.
Potrebbe essere un sistema utile a soddisfare la voglia di nuovi acquisti, la sete di nuovi vestiti a cui ci siamo auto condannati, limitando l'impatto ambientale della filiera della moda.