Pregi (pochi) e svantaggi dell'acqua in bottiglia. Un assurdo commerciale che dura da anni.
Come il PET ha conquistato lentamente le nostre abitudini, facendoci credere di essere insostituibile.
L'impatto dell'uomo sull'ambiente è un tema molto sentito e, recentemente, in seguito all'intenzione da parte degli USA di uscire dagli accordi di Parigi, la sensibilità si è acuita. Sebbene ci sia discussione circa la nostra responsabilità sui cambiamenti climatici, è indubbio che la società dei consumi abbia apportato gravi danni all'ambiente, con conseguenze che ricadranno sulle generazioni future. È difficile non lasciarsi andare a preoccupazione qualora si consideri il pericolo di un uso smodato della plastica, così come è difficile considerare una novità i recenti studi atti a evidenziare l'impatto ambientale del PET.
Troppo spesso diamo per scontato l'ecosistema che ci circonda e siamo portati a pensare che il pianeta riuscirà comunque a sostenere i nostri ritmi. Per esempio, sappiamo ancora troppo poco circa il mercato dell'acqua in bottiglia, almeno a livello di opinione comune. Se si pensa al business dell'acqua imbottigliata,
in Italia siamo attorno ai 12 miliardi di litri, facendo del belpaese la prima nazione europea per consumo pro capite nel solo 2016.
Una volta consumato il contenuto, della bottiglia non rimane che la plastica. Il PET, materiale principe per il contenimento di bevande, venne inizialmente impiegato all'inizio degli anni settanta per imbottigliare tutte quelle bevande gassate che, se imballate con altri materiali, avrebbero potuto causare delle piccole esplosioni. La paternità del brevetto del PET a uso alimentare va a un ingegnere americano, tale
Nathaniel Wyeth, che nel 1973 individuò in questo materiale la soluzione perfetta per l'imbottigliamento della soda. Il polietilene tereftalato (questo il nome per esteso) aveva costi di produzione ridotti, offriva estrema praticità, era di facile trasporto (specie a confronto con la fragilità del vetro) e poteva essere trasparente, così da mostrare al consumatore il prodotto che acquistava.
La bottiglia in plastica ha ottenuto un'immensa popolarità come bene di consumo, tanto da portarci a pensare che fosse un bene necessario e insostituibile. A questa visione delle cose va obiettato che, nonostante la bottiglia in plastica offra ovvi vantaggi in termini di trasporto e maneggevolezza, l'acqua del rubinetto è in realtà un'alternativa degna di essere considerata. Nonostante il pregiudizio negativo, frutto di casi di mala gestione di alcune risorse idriche, l'acqua corrente deve sottostare a rigidi standard qualitativi, spesso più severi di quelli per le acque in bottiglia. D'altro lato non esistono norme che tutelino la salute dei consumatori per errata gestione dell'acqua imbottigliata. Per esempio, le bottiglie in PET potrebbero essere messe in commercio anche
dopo essere state esposte al sole per ore, fatto notoriamente nocivo per la salute di chi dovrà bersi l'acqua.
Non è solo la plastica che va a incrementare l'impatto ambientale del nostro consumo di acqua: le emissioni annue di CO2 scaturite dalla produzione del PET (e dal trasporto) avrebbero bisogno di una foresta delle dimensioni della Gran Bretagna per essere compensate. Altro aspetto poco considerato è l'ingente danno sulla fauna marina: ben il 90% dei volatili, che fanno del mare il proprio habitat, ha tracce di plastica nello stomaco. Per non parlare della fauna ittica, costretta a convivere con detriti e sostanze che spesso risultano esserle nocive (vedi
I pesci si nutrono di plastica).
In
un report di recente pubblicazione, TradeMachines ha messo in evidenza quanto il business del PET stia inficiando la sostenibilità dei nostri consumi, riportando dati e statistiche relative al 2016. L'invito a un consumo consapevole è sempre più impellente e prendersi cura del pianeta è un obbligo che abbiamo per le generazioni a venire.