La crisi del coronavirus ha cambiato il modo in cui utilizziamo l'energia, almeno per ora (vedi COVID: il futuro dell'energia). Ma la pandemia globale potrebbe finalmente decretare la fine del carbone, il più inquinante di tutti i combustibili fossili.

Bloccare centinaia di milioni di persone nelle case in tutto il mondo ha portato a una caduta senza precedenti della domanda di energia, inclusa l'elettricità.

Solo le energie rinnovabili sono riuscite a mantenere la propria posizione, afferma Fatih Birol, direttore esecutivo dell'Agenzia internazionale dell'energia (AIE). E questo ha a sua volta rivelato qualcosa di molto sorprendente sull'economia del settore energetico: la vulnerabilità del carbone, il carburante che ha alimentato la creazione del mondo moderno. Il più sporco tra tutti i combustibili fossili, ora rivela quanto fragili siano le sue basi finanziarie.

La causa di questo abbandono non è la sensibilità ambientale degli operatori. La questione chiave è ciò che gli economisti chiamano il "costo marginale" di diverse fonti di energia. L'idea è semplice: una volta costruite le centrali elettriche solari o eoliche, il loro costo marginale è nullo. Mentre quelle fossili richiedono carburante.

Inoltre, le centrali a energie rinnovabili sono spesso più economiche da costruire rispetto al nuovo carbone. E ogni anno diventano ancora più economiche. Già oggi, in molti paesi, l'impianto energetico più economico da costruire è quello da energie rinnovabili, batterie tampone comprese.

A questo si aggiunga che, in presenza di un improvviso calo della domanda di elettricità (per esempio a causa di una pandemia, ma anche solo perché una giornata ventosa produce più elettricità del previsto) allora è la centrale a carbone che viene spenta.

E il consenso dell'opinione pubblica, e di tutti i gruppi di pressione, è tutto orientato verso l'energia pulita. È chiaro che, mettendosi nei panni di un investitore che sta valutando di costruire una nuova centrale a carbone, vi sono comprensibili perplessità.

Secondo alcuni esperti del settore, il carbone potrebbe addirittura non riprendersi più dalla pandemia di coronavirus. La crisi era in atto anche prima della pandemia di coronavirus. L'anno scorso aveva visto il più grande calo della produzione di elettricità a carbone registrato in tutto il mondo. Il lockdown sembra aver solo accelerato questa naturale tendenza.

Solo per fare un esempio, la rete elettrica britannica ha deciso che non brucerà carbone per 60 giorni, a partire dalla mezzanotte di mercoledì scorso. Questo è di gran lunga il periodo di sospensione più lungo dall'inizio della rivoluzione industriale, più di 200 anni fa.

Negli Stati Uniti, quest'anno, per la prima volta in assoluto, è stata consumata più energia dalle fonti rinnovabili che dal carbone. E questo nonostante tutti gli sforzi di Trump per sostenere quest'industria. E pensare che, solo un decennio fa, quasi la metà dell'elettricità statunitense proveniva dal carbone.

Anche in India, uno degli utilizzatori di carbone in più rapida crescita, la domanda di carbone è diminuita drasticamente, contribuendo a fornire la prima riduzione delle emissioni di anidride carbonica del paese da 37 anni. Secondo l'Agenzia internazionale dell'energia (AIE), abbiamo assistito al più grande declino mondiale del consumo di carbone dalla seconda guerra mondiale.