La crisi del Covid-19 ha accelerato il passaggio dai combustibili fossili alle rinnovabili? Sono solo previsioni, stiamo parlando del nulla, ma è su questo nulla che si stanno programmando gli investimenti futuri, per cui potrebbe essere un nulla autoavverante.

Gli analisti, per gran parte dell'ultimo decennio hanno sì considerato gli avvertimenti sul fatto che le riserve di combustibili fossili potrebbero essere bloccate. Si sente da molto tempo che petrolio, carbone e gas potrebbero essere lasciati dove stanno, sepolti nel sottosuolo o in fondo al mare. Ma tutto appariva come un'affascinante, ma prematura ipotesi. Ora,  invece, c'è allarme su importanti svalutazioni e probabili insolvenze. Come scriveva Ernest Hemmingway, i fallimenti si verificano in due modi: "A poco a poco, poi all'improvviso." (Il sole sorgerà ancora, Arnoldo Mondadori Editore, 1962)

Shell e BP stanno svalutando le riserve, e alcune compagnie di fracking statunitensi stanno entrando in fallimento. Il cambiamento sta arrivando nel settore dei combustibili fossili più velocemente di quanto ci si aspettasse.

Nell'ultimo mese, prima BP e questa settimana Shell hanno annunciato piani per svalutazioni di svariati miliardi di euro su alcune delle loro riserve di combustibili fossili; la Chesapeake Energy ha presentato istanza di fallimento; i dividendi sono stati ridotti, ingenti perdite di posti di lavoro sono in arrivo, e una serie di grandi aziende energetiche hanno annunciato pubblicamente piani per accelerare le loro strategie di transizione verso l'energia pulita.

Un numero crescente di giganti di combustibili fossili non sta semplicemente chiudendo le falle in preparazione di un periodo di recessione, prima di avviare una nuova ondata di progetti. Le proiezioni di prezzo e domanda sono state ridotte e si ha davvero la sensazione che la transizione verso l'energia pulita, che gran parte dell'industria ha fatto negli ultimi dieci anni, potrebbe accelerare.

E non dimentichiamo l'analisi del think tank Carbon Tracker (vedi Big Oil: la bufala delle zero-emissioni nette), che salva le compagnie europee dall'accusa di una condotta insufficiente verso lo zero-emissioni-nette.

Potrebbe essere stata una pandemia senza precedenti a far precipitare i prezzi del petrolio, lasciando le major petrolifere con portafogli di progetti esistenti e futuri in cui, nelle parole del capo della BP Bernard Looney, "stiamo spendendo molto, molto più di quanto guadagnamo".

L'annuncio di Shell che avrebbe potuto tagliare fino a 25 miliardi di euro di attività nel secondo trimestre, ha generato il crollo del titolo questa settimana, ma sono le sue nuove proiezioni sui prezzi che preoccuperanno gli investitori e molti degli operatori del settore.

La società ha tagliato le aspettative per i prezzi del greggio Brent nel 2022 da 60 dollari a 50 dollari al barile, mentre la proiezione del prezzo del gas statunitense Henry Hub, ora si attesta a 2,50 dollari per milione di btu, rispetto ai 3 dollari della settimana scorsa. A lungo termine, il mondo non è a corto di risorse energetiche rispetto ai consumi sperabilmente in linea con gli obiettivi climatici di Parigi. Le svalutazioni di BP e Shell si allineano a queste previsioni.

La svalutazione di Shell è qualcosa di più di un tecnicismo contabile o di un adeguamento delle ipotesi di prezzo a breve termine. Potrebbe essere l'annuncio di cambiamenti fondamentali che colpiscono l'intero settore petrolifero e del gas. All'interno di questa svalutazione, Shell ci sta dando un messaggio su riserve bloccate, e così ha fatto BP poche settimane fa. La società britannica ha annunciato svalutazioni comprese tra 13 e 17,5 miliardi di dollari, con 10.000 perdite di posti di lavoro.

Tuttavia, non è certo che le nuove proiezioni sui prezzi siano realistiche. È possibile che la domanda possa riprendersi fortemente dopo la pandemia, ma ogni azienda al mondo sta attualmente lottando con livelli di incertezza senza precedenti. È anche possibile che una seconda ondata della pandemia o anni di disgregazione possano portare a ulteriori proiezioni al ribasso in futuro. In pratica, stiamo parlando del nulla, ma è su questo nulla che si stanno programmando gli investimenti futuri, per cui potrebbe essere un nulla autoavverante.

"I cambiamenti comportamentali duraturi nei confronti delle abitudini di viaggio, pendolarismo e lavoro ridurranno anche il consumo di energia e diminuiranno la domanda di combustibili fossili dal settore dei trasporti, nonché dalla produzione di ferro e acciaio", ha dichiarato la Shell in una nota.

Tra gli ambientalisti, si torna a parlare di Picco del Petrolio, ma con una nuova connotazione: esso non riguarda più l'offerta, secondo le teorie minerarie di Marion King Hubbert, bensì di picco della domanda, favorita dall'emergere di tecnologie rinnovabili e di stoccaggio di energia.

Gli analisti prevedono che la domanda di petrolio si riprenderà l'anno prossimo, ma contemporaneamente ritengono che non raggiungerà mai i livelli osservati nel 2019. E gli investitori sono in fibrillazione, e conseguentemente stanno abbandonando le posizioni su aziende petrolifere, del gas e del carbone.

La risposta a queste preoccupazioni da parte delle major del petrolio e del gas è stata sostanzialmente doppia: alcuni (come ENI, BP e Shell) cercano di gestire i rischi della transizione e stanno accelerando i piani di transizione a zero-emissioni; altri (tipicamente le aziende USA) respingono tali timori e continuano a insistere che l'elevata domanda di combustibili fossili possa essere sostenuta per decenni.

La storia di Chesapeake Energy è istruttiva, se non preveggente. La società che era sinonimo del boom del fracking statunitense ha presentato domenica scorsa l'istanza del chapter 11. Chesapeake Energy è il più grande operatore di fracking fino ad oggi a cadere in difficoltà. E non è la sola, tra le aziende di gas di scisto e altre compagnie petrolifere statunitensi che si sono schiantate nelle ultime settimane quando il prezzo del petrolio è precipitato molto al di sotto del loro punto di pareggio.

Ma la tendenza era già evidente prima che la crisi del coronavirus colpisse, con le società caricate dal debito che faticavano a ottenere profitti ogni volta che i prezzi del petrolio e del gas calavano. Pare che oltre 200 produttori di petrolio abbiano presentato istanza di fallimento negli Stati Uniti negli ultimi cinque anni.

Anche giganti del carbone come Peabody Energy e Murray Energy, hanno chiesto il Chapter 11. Molte persone hanno perso molti soldi mentre i mercati dell'energia si sono evoluti e tutto sembra confermare che la transizione verso l'energia pulita è appena iniziata.