Come le aziende possono utilizzare il COVID-19 (e soprattutto i fondi stanziati per affrontarlo) per pianificare in modo proattivo il rischio di cambiamento climatico. 

Tra gli obiettivi strategici di un'azienda dovrebbe esserci quello di prepararsi adeguatamente a rischi dirompenti, che possono manifestarsi improvvisamente con gravi conseguenze. La pandemia di COVID-19 ha rivelato invece l'enorme impreparazione globale al contenimento e all'adattamento a shock di salute pubblica ed economici.

Le aziende si stanno ora concentrando su come far evolvere i loro sistemi di gestione dei rischi aziendali (enterprise risk management - ERM) per pianificare futuri rischi dirompenti. È però fondamentale che si preparino a gestire soprattutto la crisi climatica, potenzialmente il più grande rischio di tutti.

Sembra incedibile, ma gli investitori considerano i rischi climatici come rischi aziendali. Non importa se il mare invaderà mezza Italia, compresa la casa dell'investitore stesso: quello che conta è il valore di borsa delle azioni da lui possedute. Un sondaggio del 2020 su 439 investitori istituzionali tra cui fondi pensione e fondi comuni di investimento, banche e assicuratori ha rilevato che oltre la metà già sta integrando il rischio climatico nei propri processi di investimento e che il 91% si aspetta che il rischio climatico sia finanziariamente rilevante per i propri investimenti in cinque anni.

Nella lettera del 2020 agli amministratori delegati e ai consigli di amministrazione delle società in portafoglio, Larry Fink, amministratore delegato di BlackRock, ha annunciato che l'impresa avrebbe preso decisioni di investimento con la sostenibilità ambientale come obiettivo principale poiché "l'evidenza sul rischio climatico sta costringendo gli investitori a rivedere le ipotesi fondamentali sulla finanza moderna". Mica a come salvare le città e gli ecosistemi costieri, ma solo a rivedere le ipotesi di finanza.

Un'analisi del 2019 ha rivelato che le più grandi aziende del mondo valutano in poco meno di 1000 miliardi di dollari il rischio potenziale per le loro attività a causa dei cambiamenti climatici e ha rilevato che la metà di queste perdite dovrebbe concretizzarsi nei prossimi cinque anni.

Quest'anno, per la prima volta, il World Economic Forum ha messo i cambiamenti climatici tra i cinque principali rischi per l'economia globale, sia per probabilità che per gravità dell'impatto (vedi La svolta ambientalista di Big Business).

Dal punto di vista economico-fiscal-finanziario, il COVID ha lasciato alle aziende un sostanzioso lascito: grandi pacchetti di stimoli a lungo termine. Il vicepresidente di Black Rock li definisce "la più grande riallocazione del capitale del 21° secolo." Si tratta di un'enorme opportunità non solo per riprendersi da questa crisi, ma anche per "ricostruire meglio," e garantire che una parte di questo capitale sia utilizzata per costruire la resilienza al rischio di cambiamento climatico rispetto ai settori di finanziamento e alle industrie non in linea con le scienze del clima.

Un numero elevato di aziende sta già prendendo provvedimenti. A maggio, oltre 330 aziende, tra cui più di dieci aziende Fortune 500, e che rappresentano un fatturato annuo combinato di oltre 1000 miliardi di dollari, hanno esortato i governi ad approvare piani di stimolo resiliente con soluzioni climatiche a lungo termine. È una mobilitazione di industriali senza precedenti. La stessa Confindustria italiana ha monopolizzato il dibattito sulle misure per il rilancio ben più di quanto abbiano fatto le altre parti sociali.

Tempi senza precedenti richiedono un'azione senza precedenti. Vediamo quanto lungimiranti saranno le aziende nel progettare soluzioni veramente circolari. Finora, gran brutti segnali arrivano invece dal mondo industriale, che per esempio chiede di sospendere la direttiva sulle materie plastiche monouso (vedi Il COVID ostacola il riciclo della plastica).