Cheran, una città indigena messicana, è diventata praticamente uno stato indipendente riconquistato dai locali, sottraendo il potere ai taglialegna illegali e ai cartelli della droga. Una comunità che è riuscita a cheranizzarsi, anche dal punto di vista ambientale.

Storia di un gruppo di persone che, con le buone o con le cattive, ha autodeterminato uno stile di vita virtuoso contro i taglialegna illegali, i cartelli della droga e l'indifferenza dello Stato.

Quando il disboscamento illegale trasformò le loro verdi colline ricoperte di pini in una terra ecologicamente compromessa, il popolo della città indigena messicana di Cheran decise di armarsi di fucili e di rivendicare la propria terra.

Oggi, otto anni dopo essersi ribellata ai taglialegna illegali e al cartello della droga alle loro spalle, Cheran è praticamente un'enclave indipendente nascosta tra le montagne senza legge del Messico occidentale.

I suoi residenti hanno il loro sistema di governo basato su assemblee della comunità. Hanno le loro forze di polizia. E conducono ambiziosi piani ambientali che hanno ricominciato a coprire la loro terra spoglia e carbonizzata con boschi di pini.

"Abbiamo prima combattuto, e poi lavorato duramente per salvare il nostro ambiente," dicono da queste parti. L'area è stata trasformata dai tempi in cui si sono presentati i sicari del cartello di narcos chiamato "la Familia Michoacana", armati di AK-47, che cercavano avviare altre attività illegali mentre il governo messicano intraprendeva una guerra totale contro il traffico di droga.

Questi uomini armati effettuarono un'operazione di disboscamento illegale che abbattè vaste aree di foresta per vendere il legno sul mercato nero. I taglialegna poi bruciarono i ceppi degli alberi, forse per far posto agli alberi di avocado, un raccolto redditizio ma ecologicamente devastante, oltre a essere teatro di guerre insanguinate tra cartelli di droga rivali nello stato di Michoacan, in cui si trova Cheran.

"Portavano fuori 200 camion di legna al giorno e (le autorità) non dicevano una parola," dice Luz Torres, abitante di Cheran, casalinga e attivista ambientalista. I trafficanti di droga minacciavano gli abitanti di Cheran, per cui, all'alba del 15 aprile 2011, suonarono le campane della chiesa: era il segnale della rivolta.

I cheranesi si armarono, bloccarono le strade della città indigena di Purepecha, istituirono posti di blocco e accesero falò per sorvegliare durante la notte ogni incrocio.

Vi fu una serie di sparatorie tra cittadini e uomini del cartello. Due residenti furono uccisi negli scontri. Poi, altri sei furono assassinati dai taglialegna illegali che cercavano di riconquistare la terra, secondo le autorità indigene. Ma Cheran riuscì a mantenere il controllo.

I residenti, oggi, pattugliano le foreste armati di fucili. Hanno istituito un "Grande Consiglio" modellato sul sistema di governo dei loro antenati. E le aziende locali ora proteggono l'ambiente e gestiscono uno dei programmi di riciclaggio più avanzati di tutto il Messico.

"Le cose erano andate troppo oltre. Stavano minacciando di rapire i nostri figli. Ora possiamo vivere le nostre vite in pace," dice una guardia della comunità locale. La comunità ha riforestato più della metà dei 12.000 ettari di alberi di pino che erano andati persi.

A Cheran, oggi, è illegale coltivare avocado. Il Messico, il più grande produttore mondiale di frutta, ha esportato 2,4 miliardi di dollari in avocado l'anno scorso, ma Cheran ha preso una decisione collettiva per vietare questa coltura dal suo territorio.

Gli alberi di avocado consumano troppa acqua, consumano troppe risorse e attirano troppe attenzioni indesiderate dai cartelli. "È l'opposto del pino. I pini ci danno acqua e ossigeno," sostiene Miguel Macias, 62 anni, capo del vivaio comunitario.

Al centro di riciclaggio della città, i lavoratori hanno attrezzature di sicurezza limitate e attrezzature di compostaggio arrugginite, ma sono orgogliosi di contribuire ad attuare una delle politiche ambientali-chiave della comunità: zero rifiuti.

Cheran separa la sua spazzatura in sei categorie, il doppio rispetto a Città del Messico. L'obiettivo è riutilizzare, riciclare o compostare tutto.

"Separiamo i rifiuti meglio di qualsiasi altro comune del Messico," ha dichiarato Ana Martinez, responsabile del programma di riciclaggio inclusivo di AVINA, una fondazione locale. La città ha persino dato alla luce un nuovo vocabolo: "cheranizzarsi", ovvero diventare come Cheran. Gli ambientalisti lo usano per descrivere un approccio aggressivo e massimalista per riprendere il controllo di un ambiente degradato.