Il bando cinese ha messo a nudo una mancanza strutturale dell'intero mondo occidentale. Il futuro del riciclo delle materie plastiche è messo seriamente a rischio dalla mancanza di investimenti.

A quasi due anni dal bando cinese, e a un anno e mezzo dalle modifiche al codice di Basilea che impediranno il travaso di materie seconde in paesi non OCSE, la situazione è pericolosamente in stallo.

Questo dicembre, saranno due anni da quando la Cina ha vietato ai "rifiuti solidi" (perché di questo in realtà si tratta) l'ingresso nella Cina continentale (vedi Panico nel mercato internazionale dei rottami). Negli ultimi 18 mesi l'industria ha realizzato alcune modifiche per riciclare i propri rifiuti di plastica e altro materiale che non avevano una soluzione di riciclaggio locale.

Sfortunatamente, come hanno dimostrato i recenti articoli di notizie dalla Malesia (vedi Plastica: il punto sul riciclo), l'industria sta ancora esportando grandi quantità di rifiuti solidi, tra cui plastica da imballaggio, cartoni di latte, plastica da RAEE, cavi in PVC e altri granulati.

Tanto per fare un esempio, le bottiglie per il latte in HDPE sono completamente riciclabili nel paese in cui sono state prodotte, soprattutto in Europa, ma sono esportate in Malesia in grandi quantità. La ragione non è tecnica, è solo un problema commerciale.

Le materie plastiche sono riciclabili; la tecnologia esiste e ci sono molti riciclatori in tutta Europa e oltre che hanno investito in soluzioni per riciclare le proprie materie plastiche. Tuttavia, la filiera soffre ancora di una grave mancanza di investimenti, mancanza di capienza degli impianti e scarsa selezione nel punto in cui il materiale diventa rifiuto. Una regolamentazione scadente e debole non tutela il riciclatore onesto, che non può permettersi di investire in nuove tecnologie per il trattamento delle materie plastiche.

A un certo punto non ci saranno più mercati di esportazione per la plastica e altri rifiuti solidi. Potrebbe essere la prossima settimana, il prossimo mese o, l'anno prossimo, e potremmo resistere anche qualche mese in più, ma non per molto. La soluzione non sono né la discarica né l'incenerimento di materiali riciclabili nei mercati locali. Non è etico e, comunque, non c'è abbastanza capacità.

Per certo, il 1° gennaio 2021, le modifiche al codice di Basilea vieteranno a tutte le materie plastiche e altri rifiuti solidi di essere esportati in paesi non OCSE. Ciò include la Malesia, Dubai (recentemente apparso sui radar degli esportatori di plastica) o altri paesi dell'Asia Meridionale.

Servirebbe un pulsante di reset, che riavvii l'industria, i regolamenti, gli investimenti e le lavorazioni locali. Non basta chiudere i canali di esportazione: la Cina ce lo ha insegnato. La burocrazia ha influito pesantemente sul settore, non chiarendo chi deve pagare per gli investimenti e che deve sobbarcarsi il maggior costo del riciclo all'interno del paese. Nel frattempo, continuiamo ad esportare in Malesia e in altri paesi in via di sviluppo, come l'India e la Turchia, che però, a differenza della Cina, dispongono di infrastrutture interne inadeguate per il riciclaggio.

Il settore dovrebbe davvero premere il pulsante di ripristino e premerlo saldamente. La Malesia e gli altri mercati dell'Asia meridionale si chiuderanno il 1° gennaio 2021, data improcrastinabile, ma potrebbe succedere prima. Realisticamente, occorrono almeno 12 mesi per avere tutto a posto: reperimento dei fondi, pianificazione, reperimento degli spazi, costruzione degli impianti, permessi, contratti e apparecchiature di controllo richiedono tempo per organizzarsi.

Ma al 1° gennaio 2021 mancano solo 18 mesi. Ora o mai più.