Il nostro modo di morire non è affatto ecologico. Il difficile mondo delle pompe funebri e dei regolamenti di polizia mortuaria, che si oppone a ecosensibilità e mode.

Le pratiche di sepoltura sono molto inquinanti e invasive. Le alternative sono quasi altrettanto impattanti, oppure sono vietate. Lo stato di Washington sta sperimentando un'opzione radicale.

La morte dovrebbe essere la conclusione naturale e inevitabile della vita, ma secondo gli esseri umani rappresenta un passaggio verso una dimensione ultra-terrena, con dei cerimoniali che riguardano inevitabilmente anche le nostre spoglie mortali. Da secoli, queste usanze di origine culturale e religiosa hanno trasformato il cerchio della vita in qualcosa che assomiglia più a un ferro di cavallo, con pratiche di sepoltura che impediscono alla terra di riutilizzare le nostre preziose materie prime dopo aver rimescolato questa spirale mortale.

Sembra un problema di poco conto, da radical-chic. E di sicuro nel momento in cui stiamo per perdere la nostra vita o quella di un nostro caro, è l'ultimo dei nostri pensieri. Ma siamo la popolazione dominante nel pianeta, e anche a livello di massa complessiva abbiamo una rilevanza (vedi Razza bastarda), per cui il problema esiste.

Da noi in Italia, questo tipo di pratiche prende la forma di legge nella cosiddetta polizia mortuaria, una disciplina poco conosciuta, che rappresenta un settore giuridico a varie competenze tra enti diversi (comuni, aziende sanitarie, regioni, autorità giudiziaria), intrecciate con le funzioni di stato. A impedire sostanzialmente che le salme dei nostri cari siano restituite alla terra che le ha generate è quindi la legge, sorretta da motivazioni sia culturali che sanitarie.

La chiusura della salma in bare di metallo (esternamente costituite da legno) rende impossibile la corretta decomposizione dei resti, provocando percolati tossici e odori sgradevoli nei cimiteri. Le persone culturalmente aperte e disposte al cambiamento possono fare ben poco per imporre, ai propri parenti sopravvissuti, delle pratiche alternative.

Molti optano per la cremazione. Sta diventando popolare anche in Italia. Questo fatto è sicuramente in relazione con i cambiamenti nei sentimenti collettivi verso la mortalità. La maggior parte delle persone tende a non considerare più l'integrità del corpo fisico necessaria per il lutto.

Ma, nonostante il suo apparente minimalismo, anche la cremazione richiede risorse. Ci vogliono circa 28 litri di carburante per trasformare una persona in cenere. Naturalmente, la gestione successiva è molto più agevole, sia in termini di spazio/volume occupati, sia in relazione ai problemi sopra citati di emissione di liquidi e gas. Qualcuno ha calcolato che, complessivamente, la cremazione ha un'impronta di carbonio totale di circa il 10 percento in meno rispetto alla sepoltura. E questo nonostante la botta energetica iniziale.

Opzioni che riducano ulteriormente l'impatto ambientale delle esequie ci sarebbero, anche se ostacolate, come detto, dai regolamenti di polizia mortuaria. Alcuni gruppi religiosi (l'islam e l'ebraismo) hanno uno speciale permesso (e dei luoghi specifici) per seppellire i loro morti avvolti semplicemente da un sudario. Ma si tratta di pratiche limitate ad alcune città e a gruppi ben identificati, per cui è abbastanza difficile rivendicare questa volontà per motivi etici o ecologici.

Negli USA, invece, si stanno diffondendo i cosiddetti funerali verdi, vale a dire sepolture dei corpi senza le usuali casse in zinco/legno. Organizzazioni come il Progetto morte urbana di Washington stanno spingendo la legislazione locale ad aggiungere ulteriori opzioni post mortem, dal momento che molte leggi statali attualmente richiedono sepolture tradizionali o cremazioni.

Un'alternativa proposta è quella di compostare i corpi, in modo che siano utilizzati come ammendante per l'agricoltura. Sono pratiche un po' radical-chic, come già detto, che andrebbero comunque soppesate seriamente e valutate caso per caso. Il compostaggio, tanto per fare un esempio, richiede la triturazione meccanica delle matrici da sottoporre a bio-digestione, una pratica che, applicata a corpi umani, potrebbe risultare alquanto cruenta.

Vi è poi il problema della medicalizzazione a cui siamo sottoposti, soprattutto negli ultimi anni di vita. Cercare di sopravvivere al cancro, una delle cause maggiori della dipartita dei nostri cari al giorno d'oggi, comporta spesso l'uso di chemioterapie piuttosto invasive, per cui i corpi dei nostri defunti sono spesso imbottiti di veleni, che potrebbero causare difficoltà di compostaggio, e in ogni caso essere tossici per le piante, altro che ammendanti!

Nonostanti queste perplessità, lo stato di Washington è diventato il primo negli USA a legalizzare il processo di compost umano il 21 maggio, esattamente una settimana fa. I defunti potranno essere trasformati in cibo vegetale al posto del solito trattamento, risparmiando circa una tonnellata di anidride carbonica, secondo la valutazione del Progetto morte urbana. Questo potrebbe essere più gradito ai morituri ecosensibili rispetto alla sepoltura, alla cremazione, o ad altre pratiche radical-chic come la sepoltura celeste praticata nel cielo tibetano, che prevede che il corpo del defunto venga scuoiato, smembrato con un'ascia ed esposto agli avvoltoi perché se ne cibino.

Lasciare i corpi dei nostri cari alla mercé degli spazzini naturali, probabilmente non sarà la prossima grande moda, ma stiamo lentamente arrivando all'idea che il modo più verde per morire sia incoraggiare la decomposizione, non fermarla. Ci vorrà molto tempo, almeno qui da noi, perché la polizia mortuaria è affare dannatamente serio.