Un new deal verde è dannatamente fuori tempo, tecnologicamente improbabile e politicamente impraticabile. Vale la pena provarci comunque?

Se l'umanità possa affrontare convenientemente il cambiamento climatico, tra ottimisti e pessimisti c'è un acceso dibattito.

È possibile convertire l'intero apparto produttivo mondiale per rovesciare il cambiamento climatico? Negli Stati Uniti alcuni politici parlano di New Deal verde, in altre parole un piano per portare l'intera umanità a un impatto carbonico pari a zero, se vogliamo l'unico modo per garantirci un futuro. Si tratta di un'idea entusiasmante per qualcuno, di un'utopia per altri.

Quello che affligge noi scettici è la serie straordinariamente complicata di compromessi che dovrebbero essere realizzati, con enormi sacrifici che le persone stanno solo iniziando a capire. E se già ora si trovano posizioni dissenzienti, alcune più sfumate, altre decisamente negazioniste, chissà cosa accadrà quando il gioco comincerà davvero a farsi duro.

Sul finire dell'anno scorso il tema è stato per l'ennesima volta sottolineato da un alto rapporto delle Nazioni Unite secondo cui la Terra era sulla buona strada per sperimentare carenze di cibo, ondate di calore mortali e massacri delle barriere coralline entro il 2040 (vedi Fermiamo il riscaldamento, o saranno guai). Il rapporto chiedeva esplicitamente cambiamenti sbalorditivi nell'economia energetica globale.

Se il pianeta seguisse la sua attuale traiettoria, il risultato per la fine del secolo sarebbe "la catastrofe", sostiene John P. Holdren, ex consigliere scientifico del presidente Barack Obama, professore di politica ambientale presso l'Università di Harvard. "Il mondo sarebbe quasi irriconoscibile rispetto al mondo di oggi." È un cambio di prospettiva molto duro, rispetto per esempio alla guerra fredda, quando si diceva: "Se qualcosa andasse storto, sarà una catastrofe." Ora il mantra è al contrario: "Sarà una catastrofe se le cose non cambiano velocemente."

Sostituire gli interi apparati produttivo, domestico e dei trasporti con fonti che non emettono gas a effetto serra, per alcuni è impresa disperatamente impossibile o inutile, per altri è assolutamente possibile.

Gli scettici si domandano: a che serve trasformare i motori da endotermici a elettrici, quando il mix energetico (l'insieme delle fonti che ci procurano l'elettricità) è oggi molto dipendente dalle fonti fossili? Non solo, ma anche, come potrà l'attuale rete elettrica mondiale, non certo ridondangte, affrontare il carico richiesto dal passaggio di tutta l'energia da fossile a elettrica? E ancora: quanta energia richiede la produzione di nuovi apparati tecnologici 'verdi' (due casi su tutti: i pannelli fotovoltaici e le auto elettriche)?

Gli elettro-entusiasti ribattono che il mix energetico spostato sulle fonti fossili non potrà che migliorare nei prossimi anni, con tutti gli investimenti che si stanno facendo sul solare, l'eolico e soprattutto sullo stoccaggio di energia (batterie). Sostengono inoltre che la rete avrà il tempo di essere gradualmente adeguata alle nuove necessità, e che l'impatto energetico degli apparati tecnologici, inizialmente sfavorevole, si assesterà non appena questi apparati cominceranno a produrre energia continuativamente.

Per esempio: è vero che per produrre un pannello fotovoltaico occorre emettere una quantità di co2 che verrà ripagata solo dopo 2 anni e mezzo di produzione di energia solare, ma è anche vero che, scontato questo pedaggio iniziale, un pannello durerà mediamente almeno altri vent'anni senza problemi.

Quel che è certo è che adeguamento del mix energetico, della rete e della produzione di energia costerà parecchio. Si calcola che nei prossimi anni serviranno migliaia di miliardi di euro, solo in UE. Questo comporterà l'aumento dei costi energetici per milioni di famiglie. Tutto ciò, in un'epoca di governi populisti diretti via twitter, potrebbe costituire un problema.

Ma tutti questi costi potrebbero essere controbilanciati da consistenti risparmi dovuti alla prevenzione di potenziali catastrofi: alluvioni, tornadi, tempeste di vento, sono situazioni ormai all'ordine del giorno, col loro corollario di costi per il ripristino e la sanità, oltre al tragico tributo in vite umane. Sono risparmi che meriterebbero una seria considerazione, data la portata della minaccia, ma non si capisce come tradurli politicamente, in un agone sempre più infuocato e superficiale.

Per John P. Holdren gli atti che potrebbero salvarci dalla catastrofe non sono politicamente fattibili. "Come tecnologo che studia questo problema da 50 anni, non penso che ne abbiamo la possibilità," ha dichiarato. Secondo Holdren, per le infrastrutture energetiche mondiali servirebbe un investimento da 20 a 25 mila miliardi di euro, e, se si iniziasse oggi, i risultati si vedrebbero non prima del 2050.

Un aspetto molto discutibile di queste politiche è quello del controllo: digitalizzare la rete elettrica mondiale, aggiornare ogni edificio per essere più efficiente dal punto di vista energetico, e revisionare le fabbriche e il trasporto, comprese auto, camion e treni "per quanto sia tecnologicamente fattibile" per rimuovere le emissioni di gas serra, sono questioni che implicano la domotica, l'Internet delle Cose e il controllo remoto. Nella situazione socio-ecomica in qui siamo (vedi Come sopravvivere all'era digitale) questo implica un controllo stretto da parte di pochissime aziende USA e cinesi, assolutamente inaccettabile, soprattutto per chi vive in UE.

Secondo Ethan Zindler, di Bloomberg New Energy Finance, un gruppo di ricerca sull'energia pulita, "Sarebbe estremamente difficile riuscire a realizzare un simile piano (zero emissioni, ndr) senza arrecare un danno reale all'economia."

L'opinione di Mark Z. Jacobson, professore di ingegneria civile e ambientale a Stanford, è più ottimistica. "Non servono tecnologie miracolose, il Green New Deal è tecnicamente ed economicamente fattibile," ha affermato. "Se lo sia socialmente e politicamente, questa è una domanda diversa."

Un esempio delle difficoltà che si potrebbero incontrare, è nell'attribuzione di un costo per l'emissione di gas a effetto serra, come una carbon tax, un'azione irrinunciabile di qualunque politica climatica. Ebbene, oggi non è possibile iniziare politiche di sacrifici senza scatenare rivolte sociali populiste, come dimostrato dai Gilet Gialli francesi, nati proprio a seguito dell'istituzione di una carbon-tax da parte del governo.

In conclusione, per portare il mondo a zero-emissioni, servirebbe una classe politica lungimirante, che affrontasse una serie di provvedimenti impopolari atti a convertire l'economia e l'industria in maniera radicale. Servirebbe anche una crescita culturale di tutta l'umanità, per abbandonare lo stile di vita insostenibile degli occidentali.

È possibile tutto ciò? Tecnicamente, forse sì. Politicamente, sicuramente no. A meno che la strizza non arrivi velocemente a farci cambiare comportamento. Ma i segnali che vediamo in giro ci dicono tutt'altro.