La nuova coscienza ecologica delle multinazionali sui rifiuti plastici non basta a salvare gli oceani. La politica deve far pagare chi ha inquinato.

Gli sforzi delle grandi aziende potranno contribuire al cambiamento, ma non sono sufficienti. Occorre cambiare il paradigma dei consumi ed esigere il costo del risanamento.

Più volte abbiamo trattato il fardello plastica e di come questo materiale abbia invaso la nostra quotidianità, gli imballaggi, ma anche oggetti insospettabili come i nostri vestiti.

I problemi che questa massa crescente ha generato sono noti: ci scorrono ogni giorno davanti immagini che ritraggono la plastica che affolla i nostri oceani e le spiagge. A tutta risposta, sono sempre più le aziende che annunciano una propria politica di riduzione della plastica monouso, attirate per lo più dai sondaggi che vedono i consumatori, soprattutto i più giovani, propensi a premiare questo tipo di azioni.

Una nuova ricerca del Cone Communications CSR Study ha rilevato che l'86% dei consumatori ritiene che le aziende debbano prendere posizione sulle questioni sociali e ambientali. E il 64% di questi si sono sentiti fermamente convinti di essere "molto propensi" a patrocinare un'azienda o un marchio basato su quell'attivismo.

McDonald's e Starbucks stanno collaborando per sviluppare una tazza di caffè completamente compostabile; Hyatt Hotels, Disney, American Airlines, il Barclays Center e dozzine di altre grandi società stanno smantellando gradualmente l'offerta e l'uso di cannucce di plastica.

Lodare sic et simpliciter questi sforzi ci allontana dall'esaminare il nocciolo della questione: quanti di questi sforzi raggiungeranno gli obiettivi? Starbucks, per esempio, il gigante del pessimo caffè, mira ad eliminare gradualmente la maggior parte delle cannucce di plastica monouso sulle bevande fredde, sostituendole con nuovi coperchi di plastica.

I nuovi coperchi sono fatti di polipropilene, materiale riciclabile, a differenza delle cannucce di plastica. Attualmente, solo il 9% circa della plastica riciclabile viene riciclata veramente. Che senso ha introdurre oggetti monouso che hanno il 91% di possibilità di finire in una discarica o nell'oceano?

Il problema della plastica, lo abbiamo detto più volte, non sta nella sua riciclabilità, ma nella sua dispersione. Se trovassimo tutta la plastica usata ben ammonticchiata e cernita, troveremmo sicuramente un utilizzo per la maggior parte di essa.

A questo problema enorme, oggi se ne aggiunto un altro: anche una buona parte della plastica raccolta e cernita fatica a trovare un collocamento. Dal 1° gennaio di quest'anno, la Cina si è ufficialmente rifiutata di fare da discarica del mondo e ha impedito l'importazione di rifiuti solidi di altri paesi: improvvisamente anche la plastica imballata non ha nessun posto dove andare.

Questo problema ha messo in mostra fondamentale mancanza di infrastrutture per la gestione dei rifiuti. Semplicemente non abbiamo le strutture adatte a gestire la spazzatura che produciamo. Dobbiamo rimediare alla svelta (vedi Plastica: l'UE punta sul riciclo).

Qualsiasi soluzione deve occuparsi di entrambi i lati del nostro problema delle materie plastiche: cosa facciamo con i rifiuti di plastica già disseminati sulla Terra e come gestiamo responsabilmente ciò che produrremo in futuro?

Bannare le cannucce di plastica non pulirà i nostri oceani. Ma è un inizio. La responsabilità estesa del produttore può rappresentare il percorso da seguire in futuro. Sta alla politica avere il coraggio di tartassare chi inquina il mondo.