Per decenni, la Cina è stata il più grande importatore di rifiuti al mondo. Il 2018 è iniziato invece all'insegna del cambiamento.

Il divieto di importazione dei rifiuti in Cina è stato salutato come una grande vittoria per gli ambientalisti cinesi e di tutto il mondo. Non solo contribuirà a ripulire la Cina, ma anche costringerà altri paesi a gestire meglio la propria spazzatura. Ma dopo tre mesi, gli esportatori di rifiuti come Stati Uniti, Europa e Giappone sono ancora in difficoltà.

Lo status della Cina come sostanziale discarica del mondo era così radicato, che molti paesi lo davano per scontato, come testimonia la reazione alla decisione a sorpresa di Pechino di interrompere l'importazione indiscriminata di 24 tipi di scarti a partire dal 2018.

A tre mesi dall'operatività del divieto, gli esportatori di rifiuti stanno ancora cercando un'alternativa alla Cina. In realtà sono state diverse le reazioni: l'Unione Europea sta pianificando una tassa sull'uso della plastica, il Regno Unito sta cercando di deviare parte della sua spazzatura nel Sud-Est asiatico, mentre gli Stati Uniti hanno semplicemente chiesto alla Cina di revocare il divieto.

I maggiori (ex) esportatori di rifiuti in Cina sono Stati Uniti, Regno Unito, UE e Giappone. Per questi colossi della produzione di rifiuti, il divieto di importazione ha significato abbattere il canale principale di smaltimento, cosa che ha portato comprensibilmente grossi problemi.

La Cina è stata la discarica per oltre la metà della spazzatura del mondo prima del divieto e, al suo apice, stava importando quasi 9 milioni di tonnellate di scorie di plastica all'anno, secondo Greenpeace. Il paese aveva iniziato a importare rifiuti negli anni '80 per alimentare il proprio crescente settore manifatturiero. Cresceva un'intera industria di lavorazione e riciclaggio dei rifiuti, ma una serie di eccessi di tolleranza e la mancanza di un controllo efficace hanno reso il paese un importante importatore di inquinamento.

La Cina, oggi la seconda economia del mondo, ha raddoppiato gli sforzi per ripulire aria, acqua e terra. Ha bloccato decine di migliaia di fabbriche che hanno contribuito all'inquinamento, spinto per un maggiore uso di energia rinnovabile ed è diventata un gigante della finanza verde. C'è ancora molta strada da percorrere, visto che uno studio pubblicato a marzo dall'Università di Chicago ha rilevato livelli di inquinamento atmosferico fuori norma in tutta la Cina.

Su queste pagine abbiamo analizzato il panico creato dalla decisione di vietare 24 tipi di rifiuti importati, annunciata lo scorso luglio e attuata nel gennaio 2018 (vedi Divieto cinese ai riciclabili: le contromisure, e tutti gli articoli correlati nella colonna a destra) ma è importante valutare la vicenda dall'interno dalla Cina. Qui, la decisione è stata salutata dagli ambientalisti come una grande vittoria. Il divieto cinese, secondo loro, non solo ripulirà il paese, ma costringerà anche altri paesi a gestire meglio la propria spazzatura.

"Questo regolamento creerà un'onda d'urto in tutto il mondo e costringerà molti paesi ad affrontare l'atteggiamento 'lontano dagli occhi, lontano dal cuore' che abbiamo sviluppato verso gli sprechi," ha dichiarato Liu Hua, attivista di Greenpeace Est-Asia, a dicembre, prima che il divieto entrasse in vigore, chiamando la mossa di Pechino "una sveglia per il mondo."

Secondo i riciclatori USA, nel bloccare la spazzatura, la Cina ha anche tenuto fuori dal proprio territorio preziose materie prime seconde, che potrebbero essere usate di nuovo dai produttori, come ha scritto l'Institute of Scrap Recycling Industries, con sede a Washington. Materiali ecocompatibili e a risparmio energetico, la cui mancanza potrebbe portare le fabbriche cinesi a utilizzare materiali più dannosi per l'ambiente. Il divieto, sostiene la presidente di ISRI Robin Wiener, sta "interrompendo un flusso di beni preziosi che fanno risparmiare energia, necessari ai produttori cinesi."

Il risultato è, secondo ISRI, non solo quello di mandare materiali riciclabili in discarica negli Stati Uniti, ma anche l'utilizzo da parte dei produttori cinesi, di materiali vergini, che consumano energia ed emettono più gas serra nel loro processo di produzione. Questa compassione verso le aziende cinesi da parte dei riciclatori USA è commovente, ma le osservazioni sono ovviamente in parte vere.

Gli Stati Uniti, che secondo l'ISRI hanno esportato 5,6 miliardi di dollari (4,5 miliardi di euro) di rottame in Cina nel 2016, hanno chiesto alla Cina il mese scorso, nell'ambito delle scaramucce commerciali di questo periodo, di "fermare immediatamente" il divieto. La Cina, pur riconoscendo le preoccupazioni sollevate dagli Stati Uniti, ha affermato che "aggiusterà ulteriormente le categorie di importazione di rifiuti" ma non ha intenzione di annullare il divieto.

Le importazioni di rifiuti solidi del paese, che comprendono plastica, carta e metallo, sono diminuite del 54% nel primo trimestre del 2018 in seguito al divieto di gennaio, secondo i dati doganali cinesi.

Nello stesso periodo, diversi paesi del Sud-est asiatico come Vietnam, Malesia e Thailandia hanno segnalato picchi nelle importazioni di rifiuti. Questa è chiaramente un'indicazione che la spazzatura è stata deviata lì. Gli esperti, tuttavia, hanno affermato di non ritenere che questi paesi possano colmare il vuoto lasciato dalla Cina.

L'Asia sudorientale ha affrontato problemi di inquinamento atmosferico a causa dell'incendio delle foreste, quindi "l'ultima cosa che vuole è aggiungere problemi importando rifiuti", ha affermato Lawrence Loh, professore associato presso l'Università Nazionale di Singapore.

A lungo termine, il problema deve essere risolto alla fonte: il Nord America e l'Europa occidentale devono compiere sforzi chiari e consapevoli per ridurre gli sprechi. Piuttosto che cercare altri luoghi in cui scaricare i rifiuti, i paesi avanzati dovrebbero assumersi la responsabilità di ridurre la produzione di rifiuti attraverso pratiche sostenibili.