Dietro al greenwashing dei grandi inquinatori della plastica c'è sempre il buon vecchio prezzo del petrolio. Ecco perché stanno rispolverando i materiali riciclati.

Grandi multinazionali si improvvisano ambientaliste e sensibili verso la plastica riciclata annunciando il cambio di composizione dei loro contenitori. Ma dietro a tutto ciò ci sono gli scenari determinati dal petrolio e dal bando cinese.

È paradossale che, quando si parla di economia circolare, i campioni che si propongono all'opinione pubblica sono sempre e solo aziende multinazionali, in realtà le principali responsabili dell'economia lineare, e quindi dello scempio che stiamo affrontando.

Il nostro punto di vista è strategicamente e dimensionalmente diverso: la vera economia circolare si può fare solo aggregando piccole realtà (vedi Chi siamo), con logiche opposte a quelle dei colossi.

Ma questi colossi possiedono denaro e uffici marketing efficienti, per cui si parla di loro come dei più strenui difensori del pianeta. Danone, per esempio, meriterebbe una medaglia perché la produzione di acqua imbottigliata entro il 2025 sarà al 100% con plastica riciclata.

Altro campione è Coca Cola, che non passa giorno senza ribadire il proprio serio impegno nella salvaguardia ambientale. Recentemente ha annunciato che userà lattine e bottiglie fatte dal 50% di materiale riciclato entro il 2030. Secondo alcune statistiche, le bottiglie di plastica vendute in un anno nel mondo sono circa 480 miliardi e la sola Coca Cola è responsabile di 100 miliardi di unità vendute. La concorrente sorella Pepsi Cola ha dichiarato di voler utilizzare solo materiali riciclati al 100% entro il 2025.

Anche Mc Donald's ha deciso di partecipare al greenwashing, come abbiamo scritto in L'impegno ambientale secondo McDonald's, annunciando di impegnarsi all'utilizzo di imballaggi interamente di materiale riciclato entro il 2025.

Come si vede, tra i grandi inquinatori di plastica del pianeta non ci facciamo mancare niente: acqua in bottiglia, beverage e fast food. Nessuno parla di riduzione e riutilizzo (vedi le cinque erre), ma solo di uso di plastica riciclata. Annunci utili per i babbei, ma di poco conto per l'ambiente.

A parte il fatto che sarebbe come se un gruppo di bracconieri dichiarasse di voler proteggere la fauna selvatica, c'è da chiedersi come mai questi potenti inquinatori abbiano dichiarato guerra alla plastica vergine. Sensibilità ambientale? Non scherziamo.

A muovere le nobili natiche di queste compagnie sono in realtà gli scenari che renderanno più conveniente la plastica riciclata. Da un lato, la decisione della Cina (vedi Divieto cinese ai riciclabili) di chiudere le frontiere alle importazioni di plastica e di carta, portando il resto del mondo a non sapere dove scaricare milioni di tonnellate di rifiuti all'anno. Dall'altro, il costo del petrolio, dal quale si estrae la plastica.

Se, come sembra presumibile, questo fosse destinato a salire di prezzo, sarebbe inevitabile un aumento dei costi per produrre con materiale vergine, rendendo competitiva l'alternativa della plastica riciclata. Alternativa che, causa Cina, potrebbe inoltre godere di sostanziosi finanziamenti pubblici, necessari per svuotare i magazzini pericolosamente pieni di materiale plastico.

Sono solo previsioni dei loro potenti uffici studi, ma sono corroborate da segnali significativi. Da qui l'impegno ambientale dei grandi inquinatori di plastica. La risalita delle quotazioni del petrolio è la chiave di decodifica di questi scenari, e si regge sull'accordo tra OPEC e Russia per tagliare la produzione ed eliminare la grande quantità di offerta sul mercato. Se questo trend dovesse capovolgersi, questo nuovo grande amore per il riciclo delle multinazionali si dissolverebbe tanto velocemente quanto velocemente è esploso.