Una startup del Kentucky diventa, grazie all'ingenuità di una private equity messicana, un'azienda da un miliardo di dollari. Ma c'è davvero spazio per l'Uber dei rifiuti? E in Italia?

Fondata nel Kentucky nel 2008, Rubicon lavora nella digitalizzazione del settore dei rifiuti. Oggi l'entrata di un gruppo di riccastri messicani ne fa una star di Wall Street. È già attiva in Europa e promette sfracelli.

La Rubicon Global, una start-up che qualcuno chiama l'"Uber dei rifiuti", è stata valutata a 1 miliardo di dollari (832 milioni di euro) dopo l'ingresso con 50 milioni di dollari (41,6 milioni di euro) della private equity messicana Promecap.

Dopo un anno difficile per l'azienda, l'investimento di Promecap è una notizia positiva per l'azienda di Atlanta, come sottolinea l'amministratore delegato Nate Morris: "È stato un anno impegnativo, ma abbiamo avuto incredibili picchi positivi. Avere un investitore straniero che investe è un altro segnale molto forte che continuerà a esercitare pressioni sul mercato."

Rubicon è stata fondata nel Kentucky nel 2008 e ha avuto un forte aumento di quotazioni da allora, l'anno scorso ha vinto il suo primo contratto comunale a Atlanta e ha collaborato con la società francese SUEZ per la digitalizzazione dei suoi servizi in Europa, dopo aver costruito una rete di 5.000 imprese di raccolta, replicando nei rifiuti il servizio di taxi informale Uber.

Rubicon utilizza il suo software per collegare i raccoglitori di rifiuti ai produttori di rifiuti, offrendo una serie di servizi piuttosto banali, come il controllo dei veicoli e delle prese per i trasportatori, o, per i clienti, la programmazione dei viaggi e il controllo delle performance del processo di riciclo.

Promecap ha interessi commerciali in infrastrutture e rifiuti e permetterà a Rubicon di espandersi nel mercato statunitense e oltre. L'investimento di Promecap, quindi, porta a Rubicon una ricchezza di contratti, esperienza e know-how, ma soprattutto 50 bei milioni di dollari in cassa.

Lo sviluppo di queste iniziative, che veramente.org chiama di neo-caporalato (vedi Uber Economy) trova terreno fertile in nord America, in un mercato dominato da grandi aziende di gestione dei rifiuti. La vulgata dell'informazione finanziaria parla di aziende hi-tech, che si inseriscono in un settore arretrato. Ma la realtà che conosciamo è ben diversa: aziende come Rubicon o Uber di tecnologico hanno solo un banalissimo server e un software da supermercato per gestire il database, mentre le aziende da loro sfruttate gestiscono materialmente, con parchi macchine innovativi e costosi, milioni di tonnellate di rifiuti.

A riprova di questo, il percorso di crescita di Rubicon è ricco di alti e bassi. Nel mese di giugno, Rubicon aveva licenziato il suo direttore finanziario meno di due anni dopo l'assunzione iniziale, peraltro accusato di aver trafugato migliaia di pagine di documenti riservati dal precedente datore di lavoro Waste Connections. Durante WasteExpo, appuntamento annuale dell'industria dei rifiuti statunitensi, Rubicon è stata al centro di pesanti critiche da parte delle aziende di rifiuti, che contestavano l'affermazione arbitraria che il modello di Rubicon fosse più rispettoso dell'ambiente degli altri.

Nonostanti queste evidenti difficoltà, la febbre da startup prevale, anche quando questa non ha niente di nuovo da offrire. I grandi capitali sono sempre ansiosi di fare scommesse di questo tipo. La prima domanda che ci poniamo è se la cordata Rubicon-Promecap crescerà ancora fino a occupare un ruolo di primo piano nello smaltimento dei rifiuti in USA.

Ma la domanda più importante è la seconda: società di questo genere riusciranno a sfondare nei mercati più solidi e regolati dell'UE e, soprattutto, dell'Italia, in un mercato che vede in competizione sia grandi aziende di gestione dei rifiuti sia, soprattutto, piccole e medie aziende tecnologicamente attrezzate?

Lo schema alla Uber nel settore non è una novità, tanto che l'albo gestori ha dovuto istituire una specifica categoria, la numero 8, dedicata agli intermediari. Ma il problema non è la presenza di mediatori, che esistono in ogni settore e, a dispetto del loro gradimento tra gli operatori, svolgono un ruolo importante di lubrificazione di un mercato ancora poco trasparente. Il problema sono le ambizioni di monopolio di queste aziende che si frappongono tra clienti e operatori, privando questi ultimi della loro identità e specificità tecnologica e territoriale.

Una risposta possibile potrebbe essere l'Uber dei rifiuti costituita dalle stesse aziende che operano nel settore, in modo da scavalcare e anticipare l'avidità di queste fameliche start-up. Una sfida che lanciamo alle varie associazioni di categoria.