Dopo gli scienziati e i banchieri, ora anche gli economisti si rendono conto che far morire la natura non conviene a nessuno. Mancano, all'appello dei consapevoli, aziende, cittadini e politici.

Un gruppo di economisti dell'Università di Oxford scopre una terribile banalità: le imprese e i politici non riescono a riconoscere il "rischio sistemico" che si accumula quando la qualità dell'ambiente naturale si deteriora. Risposte per ora timide a queste sollecitazioni da parte della politica e delle imprese.

Le istituzioni economiche e politiche sono cieche alla minaccia finanziaria rappresentata dal declino dell'ambiente naturale, secondo un nuovo documento pubblicato in questi giorni da un gruppo di economisti dell'Università di Oxford.

Il meteo estremo, le estinzioni di specie animali e vegetali, le rese agricole in calo e l'aria e l'acqua tossiche stanno già costando all'economia globale 4,6 mila miliardi di dollari, quasi 4 mila miliardi di euro l'anno, e questa cifra è destinata ad aumentare con l'intensificarsi del degrado ambientale, avverte l'articolo.

"Stiamo avvelenando il pozzo da cui beviamo," ha detto Oliver Greenfield, della Green Economy Coalition, che ha commissionato la ricerca. "Il terribile stato della natura e le sue implicazioni per il nostro futuro, si percepiscono a malapena nel processo decisionale economico. In altre parole, stiamo creando un grande rischio sistemico per le nostre economie e società, e proprio come la crisi finanziaria, la maggior parte degli economisti al momento non lo vede."

La ricerca, presentata al World Forum on Natural Capital di Edimburgo, individua tre carenze centrali apparenti nella maggior parte delle economie sviluppate. Innanzitutto, la maggior parte dei ministeri economici mondiali non ha gli strumenti necessari per calcolare il valore finanziario della natura.

In secondo luogo, i modelli economici tendono ad assumere che il valore naturale possa essere sostituito (ovvero, tecnicamente, il capitale naturale sia fungibile) con il valore creato dall'uomo, senza la comprensione che il valore naturale è una risorsa vitale che deve essere gestita in modo sostenibile al fine di mantenere il funzionamento delle economie.

In terzo luogo, le economie mancano di leggi e protezioni adeguate per salvaguardare i nostri stock di capitale naturale. Ma il rapporto non è catastrofico, né ultimativo. Anzi, sostiene che ci siano modi per correggere queste mancanze del mercato.

Gli scienziati sostengono che le economie potrebbero essere "riprogettate" in modo da proteggere il pianeta se i governi iniziassero a misurare le scorte di capitale naturale in "conti di ricchezza naturale" e garantissero che le scorte fossero adeguatamente protette.

Gli economisti arrivano buoni ultimi a valutare il rischio di deterioramento del capitale naturale, dopo gli scienziati (il concetto di impronta ecologica ha più di 20 anni), e addirittura dopo le banche (vedi Clima: le banche non stanno facendo la loro parte e La catastrofe prevista dagli analisti).

La politica reagisce tiepidamente: la ricerca arriva pochi giorni dopo che il premier-ombra laburista John McDonnell ha promesso di considerare il rischio di cambiamento climatico nelle previsioni economiche del governo, una mossa che metterebbe il cambiamento climatico su un piano di parità con altre complesse sfide che riguardano le finanze pubbliche come la demografia.

Inoltre, il Segretario all'Ambiente Michael Gove ha ripetutamente sottolineato che il Regno Unito offrirà una "Brexit verde" rafforzando le protezioni ambientali, introducendo nuovi regimi di governance e riformando i sussidi agricoli per incentivare le misure che migliorano l'ambiente.

Ma a ogni passo avanti ne corrispondono due indietro: il black friday (vedi Contro l'ideologia del Black Friday) mostra quanto poco importi al sistema economico di preservare la natura e risparmiare risorse.