Un libro (per ora solo in inglese) descrive l'economia circolare vista dalla parte del settore primario. L'agricoltura è il settore che ha più bisogno di circolarità.

18 espertoni ci raccontano come dovrebbe cambiare l'agricoltura per poter salvare il pianeta. Non si sbilanciano molto, ma si capisce che in ogni caso non sarà facile.

La Ellen MacArthur Foundation, istituto che ha molto a cuore la circolarità, ha fatto uscire il libro "A New Dynamic 2: Effective Systems In a Circular Economy" (Una nuova dinamica 2: efficaci sistemi in una economia circolare), che riunisce 18 pensatori chiave, imprenditori e studiosi che guardano oltre i confini delle loro rispettive discipline e stabilire i collegamenti necessari per ri-pensare il nostro attuale percorso di sviluppo. Questo volume, pur essendo qua e là un po' troppo moderato,può aiutare a comprendere ulteriormente e impegnarsi nella realizzazione del modello di economia circolare.

La storia agricola del 20° secolo è stata caratterizzata dalla green revolution, apparentemente un successo senza precedenti: una coltivazione a intensità e specializzazione spinte all'eccesso, grazie alla quale gli agricoltori hanno notevolmente migliorato la produttività e i prezzi dei prodotti alimentari sono crollati, almeno all'origine.

Tuttavia, questa industrializzazione ha creato sostanzialmente più problemi di quelli che ha cercato di risolvere: povertà, soprattutto ai danni del settore agricolo, aumento della popolazione, dominio di brevetti e multinazionali su piccole aziende agricole, spesso schiavitù della manodopera. E la crescita pare non essere infinita: nel 2010, per la prima volta in un secolo, la crescita delle rese globali del grano è stata inferiore alla crescita della popolazione mondiale.

Questo è il motivo per cui una parte degli analisti economici si è allontanata dal concetto di "sistema alimentare lineare" dove abbiamo un input, una lavorazione e uno smaltimento verso il concetto di un sistema circolare. Dalla terra preleviamo sistematicamente sali minerali e sostanze umiche, ma molte sostanze nutritive non fanno mai ritorno alla terra. I motivi sono l'enorme quota di cibo prodotto che viene sprecata e finisce in discarica, sia direttamente che come parte dei fanghi degli impianti di depurazione.

La desertificazione ha cause biologiche, ovvero la difficoltà di ricostituire la sostanza organica sottratta al terreno nei brevissimi tempi a noi necessari, ma anche chimiche, visto che il materiale effettivamente sottratto non fa completamente ritorno alla terra, indipendentemente dai tempi di elaborazione biologica. Occorre muoversi verso un modello di rigenerazione in cui la terra sia ripristinata in ogni ciclo, ri-immettendo i nutrienti e i sali minerali prelevati dalla coltura, con un conseguente approvvigionamento alimentare più sano.

Come fare? Vi è una serie di approcci promettenti. Il primo riguarda il ripristino dei grandi ecosistemi danneggiati, chiamati pomposamente il "capitale naturale". È operazione possibile e di potenziale commerciale già dimostrato. Un esempio famoso è l'altopiano del Loess in Cina, dove 3,7 milioni di acri di terreni degradati sono stati rigenerati a partire dalla metà degli anni 1990. Questo progetto ha sollevato più di 2,5 milioni di persone dalla povertà, quasi triplicando il loro reddito, sostituendo il basso valore delle colture precedenti con prodotti di alto valore. La produzione di grano è aumentata del 60 per cento e la copertura vegetale perenne raddoppiata passando dal 17 per cento al 34 per cento. Inoltre, il controllo delle inondazioni, l'uso dell'acqua, l'occupazione, la biodiversità e l'assorbimento di carbonio sono drasticamente migliorati.

Altro esempio, il Savory Institute, in Colorado, promuove un processo che imita la natura. Come l'istituto descrive, il bestiame viene controllato in modo che le condizioni rispettino i rapporti predatore-preda che erano in vigore quando i pascoli si sono evoluti. Ciò comporta dividere la terra in recinti più piccoli, spostando le mandrie spesso in tutta la proprietà. Questo approccio ha rigenerato più di 6,1 milioni di acri, lucrando sul ciclo di utilizzo e di riposo - lo stesso modello osservato in animali da pascolo negli ecosistemi dei pascoli naturali.

Altro approccio è quello della restituzione dei flussi di risorse recuperate, ovvero "chiudere il cerchio" dell'utilizzo e del riutilizzo. Per esempio, l'UE ha fatto progressi nel recupero di fosforo da fanghi di depurazione, di carne, farina di ossa e dei rifiuti solidi biodegradabili: oggi quasi il 30 per cento del fosforo sintetico utilizzato in UE proviene dal recupero.

In Svezia, due comuni hanno imposto che tutti i nuovi servizi igienici debbano separare l'urina dalle feci; la prima costituisce solo l'1 per cento del volume di acque reflue domestiche, ma contiene la maggior parte delle sostanze nutritive. Gli agricoltori locali possono raccogliere le urine per l'uso come fertilizzante liquido.

In Italia, oltre 4.000 comuni raccolgono separatamente gli scarti organici (rifiuti da alimenti e dei giardini). Questi sforzi raggiungono circa 40 milioni di abitanti; 4,8 milioni di tonnellate di rifiuti organici vengono raccolti per il trattamento nel compostaggio o negli impianti di digestione anaerobica.

Varie pratiche agricole sostenibili e rigenerative restituiscono le risorse recuperate per usarle nei sistemi di produzione biologica che preservano il capitale naturale e ottimizzano i rendimenti a lungo termine. La superficie coltivata a biologico in Europa si sta espandendo il 6 per cento l'anno.

Un altro punto su cui lavorare è promuovere la produzione alimentare peri-urbana e urbana. La domanda di cibo locale, fresco e relativamente non trasformato è in crescita. In Europa, Barcellona ha annunciato un obiettivo di produrre la metà del proprio cibo nella regione metropolitana: lo scopo è stabilire catene di fornitura più brevi tra le aziende agricole e rivenditori o consumatori e ridurre i rifiuti associati al trasporto. In questo modo si può anche contribuire a creare posti di lavoro locali e rafforzare i legami tra aree rurali e urbane.

Su una scala più piccola, anche l'agricoltura urbana sta emergendo, sotto forma di fattorie verticali e idroponiche. Le fattorie verticali coltivano prodotti all'interno o sui tetti degli edifici. Tipicamente, queste aziende utilizzano da 70 a 90 per cento in meno di acqua e fertilizzanti di quelli tradizionali perché trattengono l'acqua assorbita e i nutrienti nel sistema.

Dato che più della metà della popolazione mondiale vive in aree urbane (una percentuale che cresce), l'idea che le città hanno un ruolo da svolgere nella produzione alimentare ha un senso.

Ancora, occorre creare catene di fornitura digitale per ridurre gli sprechi alimentari. Il 20 per cento del cibo viene sprecato nel suo cammino dalla fattoria al negozio nelle economie sviluppate. Il settore dei Big-Data può contribuire a migliorare la gestione delle scorte e, quindi, ridurre quella cifra.

SAP, il gigante del software tedesco, offre ai rivenditori un sistema consumer-pricing dinamico che cambia i prezzi degli articoli in tempo reale, in base alla disponibilità e alla data di scadenza del prodotto. COOP, il distributore alimentare italiano, ha automatizzato il suo sistema di rifornimento per alimenti freschi per gestire una delle maggiori fonti di rifiuti. Le soluzioni digitali, come ad esempio i frigoriferi intelligenti e la consegna di e-commerce on-demand possono aiutare i consumatori ad acquistare la quantità e la qualità del cibo giusto al momento giusto. Ciò contribuirà a ridurre la quantità di cibo che la gente butta via.

Un sistema alimentare circolare dovrebbe combinare tutti questi approcci, il che significa buttare a mare l'agricoltura convenzionale e la sua impetuosa evoluzione durante gli ultimi cinquant'anni.

Sicuramente, un sistema circolare non dovrebbe usare fertilizzanti sintetici e pesticidi, mentre dovrebbe ridurre al minimo energia, terra e acqua immessi nel sistema, e ridurre la produzione di gas serra. In altre parole, è necessario sconfessare il fondamento della green revolution.

Lo scenario circolare dovrebbe anche produrre più posti di lavoro rispetto a quello convenzionale, perché l'agricoltura biologica e la gestione dei rifiuti sono attività relativamente alta intensità di lavoro. In tutto, si stima che se l'Europa attuerà i quattro approcci di cui sopra, i benefici economici diretti e indiretti potrebbero raggiungere 320 miliardi di euro (rispetto al percorso di sviluppo corrente).

In nessun altro settore il legame tra la vitalità economica a lungo termine del nostro modello di utilizzo e la salute delle attività sottostanti è così evidente come in agricoltura e nel suolo.