I rifiuti plastici sul ghiaccio artico mostrano quanto si sia diffuso l'inquinamento.

La scoperta da parte degli scienziati britannici induce la paura che la fusione del ghiaccio permetterà più plastica ad essere rilasciata nell'Oceano artico, con enormi effetti sulla fauna selvatica.

Una spedizione britannica ha scoperto grossi frammenti di polistirolo in fessure del ghiaccio in mezzo all'Oceano Artico. La scoperta, a soli 1.000 miglia dal polo nord, è la prima fatta in una zona prima inaccessibile agli scienziati a causa del ghiaccio marino. È uno degli avvistamenti più a nord negli oceani del mondo, sempre più inquinati dalle materie plastiche.

Un team di scienziati misti tra Regno Unito, USA, Norvegia e Hong Kong, diretto dal biologo marino Tim Gordon dell'Università di Exeter, ha dichiarato che la scoperta ha confermato quanto sia andato lontano l'inquinamento derivato dalla plastica. Secondo gli esperti, i rifiuti plastici si stanno riversando nell'Artico a causa del cambiamento climatico che scioglie i ghiacci. E questo fatto è potenzialmente pericoloso per la fauna selvatica artica.

Gli scienziati, che si trovavano nell'osservatorio della Penisola Hinata, hanno tentato di raggiungere via nave il polo nord, e si sono sorpresi nello scoprire alcuni blocchi di polistirolo a centinaia di chilometri da terra, in aree che fino a poco tempo fa erano coperte da ghiaccio tutto l'anno. Inoltre, sono state trovati due grandi pezzi sul bordo delle falde di ghiaccio tra il 77° e l'80° parallelo, al centro delle acque internazionali dell'Oceano Artico Centrale.

Il trekker Pen Hadow, l'unico ad arrivare, da solo e senza ausili meccanici, dal Canada al polo nord geografico, ha affermato che in 25 anni di esplorazione dell'Artico non aveva mai visto rifiuti cosi grandi e visibili.

La spedizione, con l'utilizzo di due barche, ha navigato nelle acque internazionali dell'Oceano Artico Centrale spingendosi più a nord rispetto a qualsiasi tentativo di navigazione precedente senza rompighiaccio. La fusione del ghiaccio è aumentata drasticamente a causa del cambiamento climatico.

Le stime indicano che vi sono più di 5 milioni di pezzi di plastica che galleggiano sulla superficie degli oceani del mondo. Secondo il dottor Ceri Lewis, consulente scientifico della spedizione con sede nell'Università di Exeter, la produzione di plastica è di circa 300 milioni di tonnellate l'anno, pari al peso di tutti gli esseri umani del pianeta. Circa la metà di tutta la plastica prodotta viene usata una volta e poi gettata via.

Una delle maggiori preoccupazioni è quella che grandi pezzi di plastica possano rompersi in microplastiche, minuscole particelle che vengono consumate accidentalmente dagli animali marini. Le particelle rimangono nel corpo degli animali e vengono inseriti nella catena alimentare, minacciando la fauna selvatica a tutti i livelli, dallo zooplancton ai predatori, come gli orsi polari (vedi I pesci si nutrono di plastica). Nel tentativo di misurare la presenza di microplastiche nelle acque artiche, gli scienziati intendono provare campioni di acqua di mare raccolti in reti con foti inferiori al millimetro.

L'Artico è considerato un punto di accumulo di microplastica a causa del numero di fiumi che si esauriscono nel bacino artico, ma ci sono pochissimi dati a sostegno di questa idea. Alcune proiezioni indicano che l'intero Oceano Artico sarà libero da ghiaccio durante l'estate entro il 2050. Ciò consentirà lo sfruttamento umano di queste acque e porterà una serie di nuove minacce alla fauna selvatica artica, fino a oggi protetta dal ghiaccio permanente.