Un periodo delicato come questo necessiterebbe di un fronte compatto contro spreco, inquinamento, consumismo. Invece mai come ora la fiducia dei consumatori in governi e imprese è stata così bassa.

L'annuale rapporto di un'agenzia globale di marketing segnala un preoccupante minimo nella fiducia in governi, ONG, imprese e informazione. Il trumpismo affonda le sue radici nel fallimento della responsabilità d'impresa.

La fiducia è quel labilissimo sentimento su cui poggia pesantemente l'intero sistema economico mondiale. Come in Mary Poppins, dove il fraintendimento delle parole di un bambino genera il crollo di un'importante banca della City, anche oggi ci pare di essere appesi a un filo, con governi, imprese multinazionali, e media al minimo della fiducia.

È una tendenza verificata dal Trust Barometer, annualmente pubblicato dalla società di marketing e comunicazione Edelman: più della metà degli intervistati pensa che l'attuale sistema abbia fallito, in quanto ingiusto e scarso di speranze per il futuro.

Il 2017 ha visto continuare il calo della fiducia nei confronti di governo, imprese, ONG e media: è stato anzi il primo anno che ha visto un calo in tutte e quattro le istituzioni.
Una discesa che non ci voleva in un momento caratterizzato da concentrazioni atmosferiche di anidride carbonica molto elevate rispetto agli anni precedenti e un continuo aumento delle temperature.

Secondo la NASA infatti, lo scorso anno è stato il più caldo mai registrato, ricordando anche che i 10 anni più caldi si sono verificati a partire dal 1998, senza contare che continuano a crescere eventi metereologici, incendi, siccità, inondazioni costiere e tempeste violente con intensità e frequenza estremi.

Secondo il Trust Barometer, circa il 75% delle persone si aspetta che il settore imprenditoriale si impegni a intraprendere azioni specifiche per migliorare i fattori sociali ed economici che conducano le comunità ad un vero profitto.

Joel Makower, imprenditore, scrittore e stratega sul business sostenibile, sulle tecnologie pulite e sul green marketing, ha recentemente affermato che siamo di fronte a un futuro al tempo stesso terribile e promettente. Con queste due parole gli orientali definiscono il nostro termine crisi.

E come in tutte le crisi che si rispettino, l'opinione pubblica si spacca e segue in maniera emozionale colui che urla di più: le sparate di Trump sono riuscite a demolire i poche settimane l'intero castello di economia responsabile e sostenibile faticosamente issato da Obama in otto anni. Secondo il Bloomberg New Energy Finance, tra il 2004 e il 2015, gli investimenti globali nell'energia pulita sono passati da 62 miliardi di dollari a 329 miliardi di dollari: attendiamo ora il crollo. Certo, gran parte di essi è costituito da menzogna e greenwashing, ma quello che ci preoccupa è la mancanza di un'alternativa credibile, sotto l'influenza dei negazionisti del cambiamento climatico attualmente al potere negli USA.

Le grandi corporation stanno con i piedi in due staffe, in attesa di capire se e quando il vento Trumpiano cesserà di soffiare. Da un lato continuano a rafforzare il proprio greenwashing, che ora assume le sembianze della "triple bottom line", il perseguimento simultaneo di tre obiettivi: l'equità sociale, la qualità ambientale e la prosperità economica. Dall'altro lato le stesse aziende si beano della reazione trumpiana contro le regole ferree pro-ambiente, fatto questo testimoniato dall'esplosione dei valori di Borsa.

Le imprese dovrebbero puntare alla riduzione delle emissioni di gas serra investendo in energie rinnovabili e al miglioramento della sostenibilità, ma oggi, in una situazione così fluida, chi glielo fa fare? Molto più facile è raccattare consensi social attraverso la tecnologia digitale. Negli ultimi anni, l'attivismo di brand è diventato molto comune.
In un'epoca in cui i consumatori si aspettano sempre di più sui prodotti e i servizi venduti dalle imprese, l'attivismo di marca è la triste risposta delle imprese.