Oggi produciamo 300 milioni di tonnellate di materie plastiche all'anno nel mondo. La bioplastica si pone come soluzione alla riduzione dei rifiuti, ma la realtà è molto meno sfavillante.

Bioplastiche sì, ma con giudizio. Il problema della plastica passa attraverso una ristrutturazione della filiera, a partire dalla progettazione del packaging.

Si stima che fino a 129 milioni di tonnellate (43%) di plastica utilizzata all'anno vengono smaltiti in discarica o negli inceneritori e circa 10-20 milioni di tonnellate di plastica finiscono negli oceani. Il problema è legato alla questione della gestione dei rifiuti, soprattutto per quanto riguarda la raccolta e selezione, non tanto per i sistemi di trattamento e riciclo, che sono vari e articolati.

La chiave per un'economia della plastica più circolare passa quindi per la riprogettazione della catena di fornitura delle materie plastiche in termini di ciclo di vita completo, dal reperimento alla fine della loro vita, con particolare riguardo all'ultima fase. Invece, assistiamo al proliferare di iniziative isolate che riguardano solo il riciclo a partite da materiali selezionati, che evidentemente ci si aspetta che cadano dal cielo.

L'industria delle bioplastiche non si sottrae a questo incedere disordinato, anche se, oltre allo smaltimento, si occupa anche di fonti di materiale plastico. Infatti un argomento a sostegno del loro utilizzo è che le materie prime utilizzate per generarle sono più sostenibili della plastica petrolifera. L'abbondante disponibilità di materie prime per la loro produzione (biomassa vegetale, come il mais) richiederebbe meno sforzi per l'approvvigionamento delle risorse, oltre a benefici di tipo ambientale: la trivellazione alla caccia di petrolio è fonte di notevoli problemi, oltre ad essere una delle principali fonti di emissioni.

Per quanto riguarda invece lo smaltimento, le bioplastiche possono essere suddivise in due categorie: biodegradabili e resistenti, a seconda che siano destinate al compostaggio o al riciclo. Della prima categoria fanno parte bioplastiche come il PLA (acido polilattico) che teoricamente possono essere compostate. Le materie plastiche da petrolio possono frantumarsi in piccoli pezzi, ma non si decompongono. Nella maggior parte dei casi, le bioplastiche biodegradabili potranno degradarsi solo in impianti di compostaggio industriali (ad alta temperatura) e non nel cestino domestico utilizzato per il compost. Purtroppo, il sistema del compostaggio industriale non è ancora adeguatamente attrezzato per lavorare importanti volumi di plastica biodegradabile.

Un altro problema è il rischio di contaminazione, ovvero il fatto che, tra i manufatti in PLA, ci siano anche oggetti di plastica convenzionale, per ignoranza o distrazione. Questo provoca costi agli impianti di compostaggio, costretti a effettuare una cernita solo dopo la fine del processo (prima le plastiche non sono distinguibili). Per questo motivo, molti impianti di compostaggio oggi non accettano nemmeno il PLA e le altre plastiche biodegradabili, rendendo del tutto inutile l'aggravio di costi per la loro produzione.

Alla categoria delle bioplastiche resistenti appartiene la PlantBottle, un'alternativa alle bottiglie in PET tradizionali utilizzata da Coca-Cola. Prodotta con il 30% di etanolo proveniente da materiale vegetale (e quindi è solo in piccola parte di origine vegetale) , la PlantBottle non si decompone ma può essere riciclata con contenitori tradizionali in PET e bottiglie. In questo modo, i preziosi input energetici e materiali possono essere mantenuti più a lungo nel ciclo produttivo. Inoltre, ha molto più senso costruire una plastica bio che si inserisca nell'infrastruttura esistente piuttosto che costruire una nuova infrastruttura di compostaggio per la plastica biodegradabile. Rimane la perplessità sui reali costi energetici e ambientali, oltre che ovviamente monetari, di questo tipo di plastiche, che appaiono troppo simili a quelle tradizionali

Le bioplastiche, quindi, in teoria potrebbero essere la risposta alla nostra dipendenza dai combustibili fossili per la produzione delle materie plastiche, e quelle biodegradabili potrebbero invece essere la soluzione al problema dei rifiuti plastici nel mondo. La realtà, come si vede è ben diversa. Bene avevano fatto alcune ONG ad ammonirci sui problemi che le bioplastiche possono causare problemi nei processi di raccolta e di riciclo (vedi nostro articolo).

La soluzione, come sempre, passa attraverso molti strumenti da usare contemporaneamente, ma prima di tutto è necessario cominciare a ridurre la domanda di plastica in generale. Con meno domanda, il mercato soddisferà meglio la richiesta anche attraverso impatti più contenuti sull'ambiente. Questo significa che i produttori e i grandi marchi devono impegnarsi nel design del packaging per renderli più durevoli nel tempo, e permettere così ai consumatori di prendere decisioni di acquisto più sostenibili. Altro che sbandierare ai quattro venti una bottiglietta prodotta con la plastica degli oceani!