Torna il piccolo miraggio del recupero della plastica come combustibile.

A volte ritornano. Dopo quarant'anni, ecco di nuovo la liquefazione della plastica per produrre benzina eco-trendy. Anche fosse vero, rimarrebbe il problema della dispersione.

Dopo il fallimento (psicologico e finanziario) della Petroldragon, ecco comparire di nuovo il miracolo della liquefazione di sacchetti e bottigliette di plastica per produrre benzina eco-trendy.

Solo i più anziani tra di noi ricordano la Petroldragon, la società che alla fine degli anni settanta illuse schiere di creduloni su una tecnologia che ci avrebbe resi indipendenti energeticamente e che avrebbe risolto il problema dell'inquinamento della plastica (già allora in cima ai nostri pensieri).

La faccenda si risolse in un clamoroso buco nell'acqua che si trascinò dietro il patron di Petroldragon, il presunto inventore Andrea Rossi, e tutti coloro che credettero in lui, che rischiarono la fedina penale in svariate inchieste per reati legati allo smaltimento dei rifiuti. Alla base della storiaccia c'era un brevetto che copriva un processo produttivo inesistente.

E mentre in questi giorni l'indistruttibile Andrea Rossi ci riprova con l'e-Cat, il catalizzatore di energia che realizza un impianto domestico di fusione nucleare, il testimone della Petroldragon è stato raccolto dai ricercatori dell'Università della California di Irvine (UCI) e dell'Istituto di Chimica Organica di Shanghai (SIOC), speriamo con presupposti scientifici un po' più concreti.

"La plastica è una parte fondamentale della vita moderna, ma l'eccessiva quantità prodotta ha creato gravi problemi ambientali", sostiene il chimico Zhibin Guan. "Il nostro obiettivo con questa ricerca è affrontare la questione dell'inquinamento da plastica, ma anche creare una nuova fonte di combustibile liquido."

Guan e i suoi colleghi al SIOC, in Cina, hanno trovato un sistema per abbattere i forti legami del polietilene, la più comune forma della plastica. La loro tecnica innovativa si basa sull'uso di alcani, particolari molecole di idrocarburi, per demolire e separare le compattissime molecole polimeriche in altri composti utili. I risultati della squadra sono stati pubblicati di recente su Science Advances ("Efficient and selective degradation of polyethylenes into liquid fuels and waxes under mild conditions").

Esistono già processi che svolgono questa funzione, come asserisce da quarant'anni Andrea Rossi, ma i sistemi noti a oggi richiedono l'utilizzo di prodotti chimici tossici o il riscaldamento del materiale a più di 350 gradi Celsius per abbattere i legami chimici dei polimeri. Si può fare, ma non conviene, quindi.

La novità sarebbe perciò quella di rendere conveniente un processo oggi non possibile per resa energetica ed economica. Mica paglia.

Le sostanze necessarie per il nuovo metodo sono sottoprodotti della raffinazione del petrolio, quindi sono facilmente e abbondantemente disponibili. Secondo il professor Guan, l'equipe USA-Cina sta ancora lavorando su alcune fasi per renderlo più efficiente, tipo aumentare l'attività del catalizzatore e la sua durata, ma siamo alla rifinitura.

Prima di scendere in piazza con bandiere e clacson, attendiamo comunque conferme della bontà e soprattutto dell'economicità del processo, e nel frattempo ricordiamo che il maggior problema della plastica sta nella sua dispersione, per cui, oltre al problema di "cosa farne", che già oggi trova diverse soluzioni non combustibili, sarà necessario pensare a "come raccoglierla".