I colossi del settore estrattivo varano il loro piano sul clima: una bella mano di verde a farcire le loro innovazioni tecnologiche, alcune ovvie, altre deliranti.

Con la Oil and Gas Climate Initiative, i big dell'oil&gas hanno annunciato nuovi investimenti in tecnologie per ridurre le emissioni, dal gas flaring alla cattura del carbonio. Ma dalla volpe non ci si può aspettare la salvezza del pollaio.

La Oil and Gas Climate Initiative (OGCI), presentata in pompa magna questi giorni, coinvolge alcune tra le maggiori società dell'estrazione e raffinazione dei combustibili fossili, come BP, Eni, Royal Dutch Shell, Total, Statoil, Repsol e Saudi Aramco.

Il piano è stato annunciato con una nota congiunta dei membri di questa alleanza industriale. L'obiettivo è limitare l’impatto ambientale dell’estrazione, produzione e consumo degli idrocarburi. I soldi stanziati sembrano davvero tanti: un miliardo di dollari, ma analizzando con occhio critico si scopre che si tratta di poco più di una briciola nei bilanci delle grandi compagnie, un settore gigantesco.

Prima di tutto l'orizzonte temporale è di dieci anni. Questo significa che ognuna delle dieci compagnie firmatarie destinerà in media dieci milioni di dollari l’anno, quindi cento in totale, alle iniziative per ridurre le emissioni di gas serra, pari allo 0,1% degli investimenti complessivi.

Nel concreto, il documento parla di 4 priorità: la prima riguarda le cosiddette emissioni diffuse (fugitive emissions) di metano nella produzione del gas, causate da perdite e fughe accidentali nei processi di lavorazione, compreso il gas flaring, la combustione del gas estratto insieme al greggio nei pozzi petroliferi.

La seconda priorità è rappresentata dai sistemi CCS, carbon capture and storage, ovvero lo stoccaggio nel sottosuolo della CO2 emessa dagli impianti industriali.

Se questa soluzione vi sembra un delirio, non preoccupatevi: siete in buona compagnia. Le stesse compagnie ammettono le perplessità su questa tecnologia, a loro dire "di nicchia, sperimentale, costosa e di incerta efficacia su vasta scala." Meno male.

Gli altri due ambiti sfiorano l'ovvietà, riguardando l’efficienza energetica, da un lato dei processi produttivi dei combustibili fossili (e qui torniamo al gas flaring), dall'altro dell’utilizzo di gas e petrolio nei trasporti, auspicando motori meno inquinanti e combustibili più puliti.

Chi si aspetta accenni a fonti rinnovabili, biocombustibili, reti energetiche dislocate e intelligenti, o batterie di ultima generazione rimarrà deluso. Il piano ripropone il modello industriale del secolo scorso, solo con qualche colpetto di lifting riguardo l'efficienza. Ma dai padroni del petrolio non è lecito aspettarsi qualcosa di diverso.

Secondo le organizzazioni ambientaliste, l’unica ricetta salva-clima efficace è invece iniziare il concreto abbandono delle risorse fossili; diversamente, ovvero continuando a estrarre nuovi idrocarburi, sarà impossibile mantenere il surriscaldamento globale entro i due gradi centigradi.

Le tensioni costantemente al ribasso dei prezzi di petrolio e gas sono certamente alimentate da grandi speculazioni, come quella dei produttori sauditi nei confronti delle compagnie USA di fracking, la cui estrazione è molto più costosa del petrolio mediorientale.

Ma conta molto anche il fatto che l'energia sta cambiando, e le tecnologie a rinnovabili hanno fatto progressi qualche anno fa impensabili. Tutto questo in un contesto di minore consumo di energia, grazie anche all'aumento di efficienza.

Lasciamo quindi le grandi compagnie alle loro tecnologie novecentesche, cercando di filtrare cum grano salis le notizie provenienti da questi colossi: il futuro dell'energia si giocherà lontano dal petrolio.