La H&M Foundation lava la propria immagine con un sistema per riciclare i tessuti, finanziato prevalentemente dal governo di Hong Kong.
Un sistema che permette di riciclare le fibre miste in cotone e poliestere. Pochi soldi per un lifting all'immagine di H&M, gigante svedese della moda.
L'industria della moda è il secondo settore più sporco al mondo dopo quello del petrolio. Se per sporcizia si intende non solo la produzione di rifiuti e inquinamento, ma anche il rispetto delle normali condizioni di lavoro, allora
il primato dell'abbigliamento è fuori discussione.
Tra i giganti del settore c'è
l'azienda svedese H&M, leader del vorrei-ma-non-posso della moda, nota in tutto il mondo per alcune storiacce avvenute nei paesi senza controllo del lavoro, dove si confezionano i suoi abiti. Per esempio, nel 2011, 200 lavoratori sono morti mentre producevano vestiti H&M,
come riporta il Guardian, e di fronte alla proposta dei sindacati bengalesi di migliorare le condizioni di sicurezza, l'azienda rifiutò decisamente (
vedi articolo Yahoo).
Ancora, nel 2013 l'Ecologist accusò H&M di sfruttamento del lavoro forzato, anche minorile, dei raccoglitori di cotone in Uzbekistan (fonte:
antislavery.org). Nello stesso anno, una fabbrica di tessuti che produceva abbigliamento per H&M a Phnom Penh, in Cambogia, crollò ferendo diverse persone (fonte:
Wall Street Journal). Nel settembre 2015,
CleanClothes.org, una ONG che si occupa nelle condizioni di lavoro nella moda, riportò la mancanza di ristrutturazioni specifiche di sicurezza nelle fabbriche che fornivano H&M.
Nel giugno del 2016,
SumOfUs, altra ONG, accusò H&M "
di essere drasticamente indietro nela valutazione dei rischi di sicurezza che i suoi lavoratori devono affrontare ogni giorno." Finiamo questa breve carrellata con
un articolo del Guardian che accusa H&M di aver impiegato bambini impiegati per il confezionamento dei loro prodotti in Myanmar, pagati l'equivalente di 13 centesimi di euro l'ora, la metà del salario minimo legale.
È una storia ormai vecchia: le piccole e medie aziende di tutto il mondo non possono competere con chi ha dimensioni tali da poter delocalizzare la produzione in zone dove lo sfruttamento del lavoro è la regola, potendo contare su del greenwashing ben fatto per pulire l'immagine che, a causa di queste pratiche, tende a logorarsi. Uno dei sistemi più in voga
per fare greenwashing è rifarsi all'economia circolare.
Per questo motivo, H&M con la propria immancabile fondazione di beneficenza, ha annunciato una soluzione innovativa di riciclo di materie tessili usate, in collaborazione con l'Hong Kong Research Institute of Textiles.
L'istituto incaricato ha trovato un modo per riciclare le fibre miste in poliestere e cotone. Secondo Erik Bang, capo innovazione presso la H&M Foundation, la qualità dei materiali misti è troppo bassa per essere riutilizzata in nuovi tessuti. I materiali miscelati, oggi costituiscono la stragrande maggioranza di tutti i tessuti.
La novità riguarda un processo idrotermico che utilizza solo calore, acqua e tensioattivi, per separare le fibre di cotone e poliestere, massimizzando la resa dei prodotti riciclati.
L'alternativa cercata dai ricercatori Hongkonghesi era il promettente trattamento biologico, che però non è riuscito a superare in convenienza ed efficacia quello idrotermico. Il prossimo passo nel progetto sarà quello di costruire un impianto pilota a livello industriale. Gli svedesi sperano che la tecnologia sarà in futuro commercializzata e disponibile per l'intera industria della moda entro il 2020.
Si tratta di un'operazione di greenwashing in piena regola, tanto più che è avvenuta a basso costo: in totale, H&M Foundation ha sborsato 6 milioni per il progetto, mentre la parte del leone l'ha fatta
il governo di Hong Kong con altri 24 milioni, cioè l'80% del budget.
Oltre a questo, ci si ostina a trascurare il focus del problema, ovvero la raccolta e la selezione delle fibre tessili. Come già ricordato in
Mozziconi per fare strade, se queste fibre miste fossero disponibili in un grande cumulo sul piazzale antistante l'azienda, ci sarebbe la fila di genietti pronti a risolvere il problema del riciclo. Purtroppo le fibre sono disperse nei cassonetti, nelle discariche, negli armadi e nei cassetti, luoghi da cui non li raccoglierà nessuno.